venerdì 21 settembre 2012

Verso la Democrazia Reale


L’idea federalista in Italia (parlo di dopoguerra) è circolata, seppure posta sotto il silenziatore dalle classi dirigenti, sin dai tempi della Costituente, ma l’exploit è giunto grazie a, quello che si è poi dimostrato un grande centralista, Umberto Bossi, il quale la ha si usata a fini personali, ma la ha anche rilanciata ai massimi livelli sul pubblico palcoscenico.
Tante sono le formule proponibili, io amo quella Municipale, un’autonomia data ai comuni  permetterebbe di gestire l'economia del paese con maggior libertà, eliminando quell'odioso iter burocratico che permarrebbe comunque con un federalismo regionale o macroregionale.
Stiamo parlando di Federalismo sia chiaro, non di secessione, di massima autonomia possibile per un territorio all’interno di qualcosa di già esistente, ridisegnare le mappe ad oggi, senza sconvolgimenti importanti a livello storico diventa quasi impossibile.
Stiamo parlando di Federalismo soprattutto quale terapia a quel male incurabile, raffigurabile con  la piaga della partitocrazia e delle tangenti, che affligge il nostro paese, stiamo parlando della situazione preposta ad ottenere un maggior rapporto tra cittadini ed istituzioni. Ecco il perché di un Federalismo che dia ai comuni il potere di gestire le risorse, trattenendo la quasi totalità delle tasse raccolte sul territorio, e senza la necessità di dover dipendere, per le decisioni, da persone che vivono in altre città, in contesti socioeconomici quindi molto differenti.
Il concetto di Nazione permane, ma come una sorta di disegno a matita su una cartina, a cui delegare solo alcune prerogative quali difesa, la lotta al grande crimine, relazioni con l'estero, moneta.
Spesso separo, nel mio pensiero, ma sarebbe così tecnicamente, il Federalismo dai principi di sussidiarietà, ma sono concetti basati su freddi termini, che possiamo, nel tempo, plasmare ed arricchire; il Federalismo, non può essere solo una suddivisione del potere, ma deve essere soprattutto  un richiamo al pluralismo e alla collettività, quindi un Federalismo, basato soltanto su un’opera di ingegneria costituzionale, non rappresenta sufficientemente il collegamento con i cittadini e la società.
La sostanza è che deve esistere una sorta di imprimatur umano, la concretezza del federalismo non può limitarsi alla struttura costituzionale, ma deve radicarsi nella società stessa.
Grande compito del Federalismo è conservare l’unità nella diversità, essere una soluzione dinamica, che soddisfi le esigenze dei gruppi sociali che vivono su un certo territorio e che intendono affrontare così le problematiche che lo riguardano, ma se il Federalismo si ricollega al pluralismo istituzionale e al decentramento politico che esso comporta, la sussidiarietà non può limitarsi ad essere un iter burocratico, anche attraverso lei si fonda il rapporto fra autorità e libertà che valorizzando le formazioni sociali, contribuisce alla cementificazione di una democrazia reale.
Giorgio Bargna

giovedì 20 settembre 2012

Democrazia dei cittadini (ancora un pò di Svizzera)





Proseguiamo col quarto capitolo della condivisione di  alcuni pensieri di Paolo Michelotto, uno dei non plus ultra del settore della Democrazia Diretta, parlando ancora di svizzera. Michelotto nello scrivere il libro “Democrazia dei Cittadini”, nella prefazione, invita a condividere le sue idee e le sue proposte su blog e profili web, sarò felice di accontentarlo condividendo parecchie parti e riflessioni tratte dal suo libro. Buona lettura.

Nella prosecuzione di questo capitolo dedicato alla Svizzera vengono elencate alcune peculiarità che hanno i referendum quali strumenti di controllo.
Dal 1874 a fine 2004, la Svizzera ha visto 151 referendum opzionali, in 78 occasioni i cittadini hanno bocciato la proposta del parlamento, il 51,65%  trattando temi vari, dagli accordi con la UE, all’impiego dei soldati svizzeri
in missioni all’estero, dalla riforma dell’esercito alla privatizzazione del mercato dell’energia.

Ci viene spiegato attraverso Andreas Gross, deputato svizzero e capo dell’Istituto Scientifico per la Democrazia Diretta di St.Ursanne, i motivi per cui tali iniziative vengono lanciate:
• come reazione alla mancanza di immaginazione
delle elite politiche;
• per ottenere qualcosa tramite la provocazione;
• per mostrare una migliore alternativa su un
particolare tema;
• per promuovere un’idea completamente nuova
(esempio l’abolizione dell’esercito);
• per fare l’ultimo passo di un lungo processo
(esempio l’adesione della Svizzera all’ONU);
• per fare propaganda a un movimento;
• come strategia di sopravvivenza di alcune
organizzazioni;
• sempre però serve per far discutere e riflettere i
cittadini su un argomento specifico.
L’utilizzo degli strumenti di democrazia diretta rappresenta sempre un progresso nella democrazia:
• il numero degli argomenti discussi pubblicamente è più grande;
• il dibattito pubblico che ne consegue permette il raggiungimento di compromessi condivisi (ad esempio per mezzo delle contro proposte
dirette o indirette dei governanti);
• il numero di coloro che riescono a far sentire la propria voce nei processi politici è maggiore.

Prendiamo ora pari pari dal libro due paragrafi:

A livello locale
Nei cantoni e nei comuni i cittadini sono meno propensi ad accettare i consigli dei governanti. Le proporzioni cambiano notevolmente da zona a zona, passando da un tasso di approvazione delle iniziative del 40% in Canton Ticino, al 23% della media dei cantoni (contro il 9% a livello federale).

Giura: democrazia diretta in azione
Nel Cantone Berna, per motivi storici complessi convivevano cittadini di madrelingua francese e cattolici, di madrelingua francese e protestanti, di
madrelingua tedesca e protestanti. La minoranza madrelingua francese cattolica che viveva in prevalenza nello Giura, si sentiva discriminata
nei suoi diritti e nel suo sviluppo economico. Nel secondo dopoguerra varie associazioni e gruppi che chiedevano la secessione del Giura da Berna, si unirono per far sentire la loro voce nel Rassemblement Juressien. Il governo cantonale non voleva divisioni e concesse nel 1950 alcune autonomie. Nel 1957 il Rassemblement cominciò l’iniziativa che chiedeva: “Vuoi che allo Giura sia dato lo status di Cantone sovrano della Confederazione?”. Il movimento secessionista acquisì così voce politica e spazio nei media.
Nel 1959 si tenne la consultazione che mostrò che i 3 distretti abitati in prevalenza dai madrelingua francesi cattolici, volevano il nuovo Cantone, ma tutti gli altri distretti, la maggioranza, non lo volevano. Alcuni giornali si affrettarono ad annunciare la morte del movimento separatista. In realtà era solo l’inizio. Una piccola parte di questo movimento prese la strada violenta dell’utilizzo di bombe e di attentati incendiari. Ma la maggioranza preferì adottare tecniche pacifiche, ma che ottenevano grande risonanza nei giornali. Tutta la questione rimase a livello cantonale finché i separatisti riuscirono a non far parlare il presidente e alcuni ministri della Confederazione in visita.
A quel punto diventò una questione nazionale.
Nello sforzo di trovare una soluzione condivisa per risolvere un problema che non era mai sorto in Svizzera, il parlamento Bernese elaborò una modifica
della propria costituzione, che permettesse una procedura di separazione cantonale. Questa modifica fu approvata dai cittadini del Cantone Berna nel 1970. Nel 1974 con i nuovi strumenti introdotti, venne chiesto ai cittadini dei distretti dello Giura: “Desideri formare un nuovo Cantone?”. La maggioranza
rispose sì. Nel 1975 vennero fatti una serie di referendum a livello distrettuale e comunale per definire con precisione i confini del nuovo cantone. Dopo di
che fu creata la costituzione del nuovo Cantone del Giura, approvata tramite referendum ed infine fu chiesto a tutti i cittadini della Confederazione Svizzera tramite referendum se volevano accettare l’adesione del nuovo Cantone dello Giura alla Confederazione. Essi dettero la loro approvazione. La nascita del Cantone Giura mostra che una buona combinazione di strumenti di democrazia diretta e di federalismo, può risolvere l’esigenza di autodeterminazione di minoranze con metodi pacifici e condivisi e senza il
ricorso alla violenza. Il percorso del Cantone Giura può sembrare semplice e logico, ma basta ricordare come paragone l’Ulster, i Paesi Baschi, la Bosnia, il Kossovo, dove in presenza della sola democrazia rappresentativa gli eventi si trascinarono in maniera assai più cruenta. 

mercoledì 19 settembre 2012

Democrazia dei cittadini (un pò di Svizzera)





Terzo capitolo della condivisione di  alcuni pensieri di Paolo Michelotto, uno dei non plus ultra del settore della Democrazia Diretta. Michelotto nello scrivere il libro “Democrazia dei Cittadini”, nella prefazione, invita a condividere le sue idee e le sue proposte su blog e profili web, sarò felice di accontentarlo condividendo parecchie parti e riflessioni tratte dal suo libro. Buona lettura.
Prosegue il terzo capito del libro attraverso una panoramica della democrazia diretta in Svizzera.
 Io salto la parte nazionale, che è comunque interessante (di cui ho ampiamente riflesso su “Giorgio Partecipativo con vari post) e passo direttamente a quella che riguarda il livello locale, argomento che politicamente mi interessa di più.

Tutti i Cantoni e i comuni, tranne il Cantone Vaud,  permettono anche il Referendum Finanziario.
Per esempio nel Cantone di Graubuenden, ogni spesa straordinaria superiore ai 6 milioni di euro circa, deve essere approvata dai cittadini con Referendum Finanziario Obbligatorio. Ogni spesa da 600.000 a 6.000.000 di euro circa, è soggetta a Referendum Finanziario Facoltativo se i cittadini raccolgono almeno 1500 firme (1,2% dell’elettorato cantonale). Per spese ricorrenti, come il finanziamento della gestione di un teatro o per un festival dell’arte, che impegneranno il Cantone per molti anni a seguire, c’è il Referendum Finanziario Obbligatorio se la spesa annuale è superiore a 600.000 euro, Facoltativo se la spesa annuale va da 200.000 a 600.000 euro, previa raccolta di 1500 firme.

Guardiamo le differenze
Ogni Cantone e Comune ha le sue leggi e la sua storia e tradizioni e quindi, nonostante l’uso degli strumenti di democrazia diretta sia diffuso e utilizzato
ovunque nella Confederazione, ci sono notevoli differenze.
Per esempio nel Cantone Zurigo, dal 1970 al 2003 i cittadini hanno potuto votare a livello cantonale 457 volte (13,8 volte l’anno).
Nel Cantone Ticino, nello stesso periodo, 53 volte (1,6 volte l’anno).
A livello comunale le differenze possono essere ancora più estreme. Tra il 1990 e il 2000 nei comuni del Cantone Berna si sono tenute 848 consultazioni.
Nei comuni del confinante Cantone Friburgo, nello stesso periodo di 10 anni, si sono tenute solo 4 consultazioni.
Questa differenza è dovuta a tradizioni storiche, perchè molte decisioni nei comuni di Friburgo, sono prese in assemblee pubbliche comunali.
Nei cantoni di lingua tedesca gli strumenti di democrazia
diretta sono molto più utilizzati che nei cantoni francesi e in quello italiano. Questo è dovuto anche al fatto che i comuni nei cantoni tedeschi, godono di
un’autonomia molto maggiore. Anche l’accessibilità e l’apertura degli strumenti di democrazia diretta, quali il numero di firme necessarie
e il tempo previsto per la loro raccolta, determina
la frequenza d’utilizzo. Nel complesso il trend in Svizzera è quello di alleggerire e rendere più facile l’utilizzo, alleggerendo
le difficoltà per chi vuole utilizzare gli strumenti di democrazia diretta.
Diversamente che nel resto del mondo, i cambiamenti
alla costituzione sono decisi dai cittadini. Il ruolo del governo e del parlamento è quello di consigliere.

Saltiamo a piè pari la storia della Democrazia Diretta svizzera e snoccioliamo invece alcune cifre.
Negli ultimi decenni, a livello federale, i cittadini seguono le raccomandazioni del governo e del parlamento nel 90% delle votazioni. Ma la maggior parte dei promotori delle iniziative e dei referendum che sono stati bocciati dai cittadini, ritengono lo stesso di aver guadagnato qualcosa, sia esso un dibattito su argomenti non trattati dai politici, oppure una legge
fatta dal parlamento sull’argomento. Per questo aumentano ogni anno il numero delle iniziative.
Circa l’80% dei cittadini va a votare almeno una volta in un periodo di 4 anni. Le votazioni, anche se molto frequenti, raggiungono una partecipazione
media del 50% degli aventi diritto considerando tutte le votazioni dal primo referendum confederale dall‘800 ad oggi. Questo dato tende a essersi stabilizzato a poco più del 40% negli ultimi anni.
Nel 2006 la percentuale media di affluenza per i referendum confederali fu del 43,59%.
Nel 2007 la percentuale media di affluenza per i referendum confederali fu del 41,07%.
Nel 2008 la percentuale media di affluenza per i referendum confederali fu del 42,44% nei referendum effettuati nei primi 9 mesi dell’anno.
Questi dati si ricavano dal sito della cancelleria federale svizzera www.admin.ch
I sondaggi mostrano che il 90% dei cittadini è contrario a qualsiasi limitazione degli strumenti di democrazia diretta.
Il governo e il parlamento non possono contare sul sostegno incondizionato dei cittadini nei 4 anni tra una elezione e l’altra.
Tutta la società svizzera è abituata a far sentire la sua voce e a dibattere su tutti gli argomenti. Il governo e il parlamento sono quindi costretti a fornire informazioni trasparenti e spiegazioni esaurienti su ogni legge che essi propongono. Il continuo ricorso ai referendum e alle iniziative costringe i media a parlare dei temi messi al voto e ciò aumenta il dibattito e
la consapevolezza tra i cittadini.
Ogni legge che alla fine diventa esecutiva ha quindi un livello di gradimento, di consapevolezza e di legittimazione, sconosciuti nelle altre democrazie.
Guardando le votazioni effettuate finora ci si accorge che nei momenti di grande crisi economica, come tra le due guerre mondiali e alla fine del 1900,
i temi posti al ballottaggio riguardavano spesso la politica sociale e l’immigrazione.
Regolarmente distribuite nel tempo sono invece le votazioni riguardanti la forma della democrazia, la sicurezza nazionale e questioni riguardanti la famiglia.
Negli ultimi 70 anni ci sono state molte votazioni su temi ambientali e sul trasporto. Come ad esempio l’iniziativa approvata sulla protezione dell’ambiente montano (partita contro la costruzione di una base militare nel canton Schwyz) e con l’iniziativa Alpina, con la quale i cittadini hanno approvato la decisione di trasferire tutto il traffico merci dalle strade alla
rotaia entro il 2010.
 (continua)

Il nostro futuro (illustrato tra sacro e profano)

Gli italiani hanno dovuto, radicalmente, cambiare, nel corso degli ultimi anni, la loro tipologia di vita e questa genesi sicuramente proseguirà nel futuro prossimo, anche più drasticamente che nel passato. A vederla con  estrema fiducia si lavorerà occasionalmente, presi a calci in culo e con retribuzioni che qualche anno fa non avrebbe accettato nemmeno un’apprendista e  si pagheranno i contributi Inps già consapevoli di non avere diritto a maturare alcuna pensione. Se non ce le avranno prelevate prima banche o istituti di riscossione, venderemo le nostre case per far fronte ai debiti e continuare a mangiare un paio di volte al giorno cibi preconfezionati. La benzina avrà un prezzo paragonabile a metà stipendio, ma tanto noi non avremo più auto da rifornire, per muoverci utilizzeremo, chissà, auto di proprietà di qualche grande catena, che ci trasporteranno esponendoci offerte concorrenziali tipo “low cost”, con alla guida degli irregolari, disposti a farlo solo, a titolo pressoché gratuito, per non essere lasciati senza un tozzo di pane indurito.

Oh certo, avremo un vantaggio a pensarci bene, non terremo più di perdere linea, la tavola sarà sempre meno imbandita ed il salto del pasto diverrà addirittura uno sport olimpico a portata di tutti … pensate, non dovremo più nemmeno preoccuparci di quanti ci insultavano quando fumavamo in pubblico, scusate il francesismo, prossimamente fumeremo tutti, ma solo in inverno. E’ molto probabile che traslocheremo spesso, inseguendo  il contratto a termine in voga a quel momento, ma ci costerà ben poco, poiché saremo proprietari di ben pochi oggetti, una buona carriola potrebbe bastarci per il trasporto. Cambiate le nostre “abitudini” che vi sarà anche una modifica lessicale, discutendo dei nostri modelli di vita si parlerà di “sistema di sopravvivenza”.

Mesi fa alcuni  operai vennero manganellati mentre gridavano:“un operaio, una famiglia”. La famiglia, quello status, più o meno felice, ove ognuno sa di avere un ruolo importante e primario anche se fuori dalle sue quattro mura viene solo considerato un numero, un rifiuto organico da “smaltire” e nulla più, la famiglia quell’ oasi sicura dove rifugiarsi alla fine di una giornata, un luogo dove cercare, se si riesce ancora, sentimento, emozione, vita.

La famiglia è stata da sempre vittima di questo sistema, ha ceduto dapprima quella allargata, che viveva dei propri prodotti e si faceva forza sui rapporti umani, dilaniata dal lavoro salariato in fabbrica, dall’incapacità dell’ individuo di sopravvivere dopo il passaggio allo “stipendio”, quando fin poco prima viveva senza grande fatica i un sistema dove il denaro serviva solo a sovvenzionare l’autoproduzione o a supplire lo scambio ed il dono, quando l’umanità della collettività non riusciva a supportarlo. Oggi come allora la famiglia sta pagando, vittima della crescita e del progresso che vedono in essa un ostacolo all’individuo consumatore. La si uccide dal suo interno, provocandogli mancanza di lavoro o causandoglielo scarso e malpagato …  attraverso la rabbia e lo stress si porta al suicidio qualunque legame possa avere il nostro individuo, fiaccandolo, lasciandolo solo, plasmabile ai meri interessi della macchina economica.

La società, nemmeno troppo tempo fa, si basava su valori tarati sulle qualità morali, oggi l’unica scala valoriale universalmente accettata è quella economica, si compara tra vincente e perdente, uomo di successo e anonimo,  ricco e povero, chi lavora e chi è disoccupato.

Oggi tutti siamo vittime di un inasprimento di questo sistema, eppure raramente, a parte alcuni  suicidi disperati e a qualche rivolta locale, non vediamo alcuna reazione a quanto succede … perché?

Immaginiamo che gli ultimi due premier “politici”, Berlusconi e Prodi, ci avessero mazzolato la metà di quanto sta facendo Monti …  l’ometto di Arcore, nel 2001 rischiò una vera e propria insurrezione popolare, con gli scioperi generali, per aver ventilato una possibile soppressione dell’art.18 e il professor Mortadella ci andò vicino a fine 2006, scatenando un invasione di Roma, in risposta alla sua “morbida” finanziaria.

Oggi Monti ed il suo governo aumentano le tasse, assottigliano i diritti, ci lasciano in braghe di tela e non si notano poderose levate di scudi, perché?

Forse perché l’italiano, se non c’è nessuno che lo chiama a raccolta e lo accompagna in piazza, a protestare non ci va.

E come mai nessuno chiama a raccolta?

Il “Nostro”, evidentemente, si è coperto bene le spalle verso i soggetti che potevano ostacolarlo, Parlamento, sindacato, giornalisti, “intellettuali”, tuttologi vari  e magari anche associazioni di consumatori.

Il silenzio dilaga assordante, salvo le azioni isolate di qualche minatore e di qualche No-Tav.

Intanto che ancora la hanno, gli italiani stanno ordinatamente in casa a farsi inchiappettare, attendendo una chiamata che non udranno mai, ignari (o colpevolmente consapevoli) del fatto che la propria salvezza se la debbono congegnare da soli, autodeterminandosi, scegliendo tra il mettersi in gioco personalmente nello scenario politico partendo dal basso o l’ invasione delle piazze, senza generali, ma con tanti forconi, senza che nessuno li porti là con l’autobus.

Io spesso e volentieri, nel mio piccolo, richiamo alla prima di queste ipotesi, lo faccio anche ora, ma ogni volta ricordo anche che il tempo scarseggia sempre più e prima o poi potrebbe succedere anche il peggio, con la convinzione personale che dalle rivoluzioni armate raramente si esce meglio di quando ci  si è entrati, quindi cittadini, che ci stimassimo italiani, cisalpini, calabresi o metapontini vediamo di pararci il culo tutti insieme, in questo frangente il nemico è uno solo.

Giorgio Bargna

martedì 18 settembre 2012

Autogoverno

Autogoverno

Negli ultimi anni si è parlato spesso, a volte con sufficienza, del concetto di “autodeterminazione”, questo termine rappresenta una variegata serie di significati, un ginepraio in cui diviene impossibile giostrarsi, se non interpretando il termine a proprio piacimento.

Andiamo a prendere in considerazione il rapporto tra Stati e cittadini in merito al diritto di questi ultimi di disporre di se stessi e alla luce delle norme del diritto internazionale. Secondo queste ultime và fatto presente che gli Stati e non i popoli sono i soli destinatari formali delle norme in materia, mentre questi ultimi possono esserne al più i beneficiari, e che una distinzione, purtroppo o a ragione, va fatta tra i concetti di popolo, minoranza, popolazione indigena o gruppo insurrezionale … aspettarsi di ricevere qualcosa dalle istituzioni è pura velleità.

“Autodeterminarsi”, potrebbe anche essere un riferimento all’individuo come singolo, e quindi alla possibilità concessagli di esprimere la propria personalità senza restrizioni ed in tutti gli ambiti: quello politico, quello sociale, quello religioso, quello sessuale ma anche quello medico … ma non  stringiamo troppo l’argomento, soprattutto non allontaniamoci da quello che mi preme.

Il termine autodeterminazione , esprime l’azione a conseguire la creazione di un nuovo Stato sovrano indipendente, dotato di proprio esercito e di propria moneta, in genere legittimato dal principio etnico, nazionale, o religioso, attraverso la secessione da un’altra entità statuale. Un padre dell’autodeterminazione potrebbe essere il Presidente americano Thomas Woodrow Wilson. La proposta di Wilson venne concepita per sanare la situazione europea di quel dopoguerra, sui risultati non mi soffermo, non sarebbe cosa breve e neppure semplice. Il richiamo all’autodeterminazione ebbe in seguito successo come sostegno alle rivendicazioni indipendentiste connesse alla decolonizzazione, o a quelle sostenute da minoranze etniche o nazionali in presenza di scarso o nullo riconoscimento dei loro diritti. A questo proposito, possono essere citate le rivendicazioni separatiste ancora attive nei Paesi Baschi, nel Québec, nel Kashmir, in Tibet, nel Kurdistan. Queste tendenze alla frammentazione politica del mondo, riscontrabili anche all’interno di Stati democratici, come la Spagna, l’Italia, il Canada, oppure l’India, poste frontalmente davanti a delle “Istituzioni” difficilmente portano a risultati e sono contrastanti lo sviluppo del federalismo.

Preferirei concentrarmi sul concetto di “autogoverno” il quale si colloca nel quadro della democrazia e riguarda la protezione di interessi e culture autoctone espressi da regioni e comunità locali senza che sia messa in discussione l’unità dello Stato (non tanto per un valore in se stesso, ma per l’arcignità della sua autodifesa politica) e l’articolazione pluralistica della società. L’autogoverno poggia sul principio di sussidiarietà, sulla sovranità democratica degli elettori, sulla libertà di associazione tra cittadini e sulla libertà di unione tra istituzioni territoriali, sul dominio della costituzionale, può essere esercitato nell’ambito degli Stati decentrati o federali in applicazione del principio di sussidiarietà. Le leggi costituzionali di uno Stato prevedono spesso l’estensione o la riduzione orizzontale delle competenze di un centro di decisione, oppure il trasferimento verticale delle competenze tra autorità politiche di vario. Citiamo anche senza che abbiano troppo in comune tra di loro, ma perché sono casi reali, il Nanavut nel Canada settentrionale, la Devolution del Galles e alla Scozia.
Dunque, l’autogoverno è un concetto politico che si regge sui principi di sussidiarietà, solidarietà, cooperazione e coordinamento che sono tipici del federalismo, gli organi di vertice vengono formati attraverso la partecipazione della collettività, attribuendo a essa l’esercizio delle funzioni pubbliche in un determinato ambito territoriale, con l’esclusione di quelle relative ai rapporti con l’estero e la difesa il che consente la costruzione dell’unificazione politica dell’umanità, dalla comunità locale alla dimensione mondiale, nella pace e nell’osservanza della legge, attraverso l’esercizio del sovrano democratico del cittadino ai diversi livelli del potere organizzato, il tutto previsto (poi sarebbe da vedere quanto applicato) dalla Carta delle autonomie locali del Consiglio d’Europa, che è stata ratificata come legge interna in quasi tutti gli Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e per la Cooperazione in Europa), tra cui anche l’Italia.

Ormai sono anni che “bazzico” nel web e fuori, uomini e movimenti che vogliono riscrivere la forma di questo Stato ne ho conosciute parecchi, più o meno la pensiamo in forma simile: Federalismo, Autonomia, Responsabilità, Partecipazione, tutti con molta voglia di unirsi per cambiare … il principio è giusto, condiviso, la strada intrapresa fino ad oggi invece errata. Si cerca di unire forze che arrivano dai quattro punti cardinali, piene di fantastiche idee, ma vuote di concretezza locale.

Io credo occorra, per abbattere il “leviatano”, radicarsi appieno (lo vogliono anche i princìpi dell’autogoveno) nei propri territori locali, governarne bene alcuni e poi utilizzarli quali  modelli  per un progetto federativo, magari di tipo municipale.


Liberiamoci da chi sta uccidendo, non più solo il nostro futuro, ma ormai anche il nostro presente.
Giorgio Bargna

lunedì 17 settembre 2012

Democrazia dei Cittadini (2)

Democrazia dei Cittadini (2)

Trappola mortale

Trappola mortale

Democrazia dei Cittadini

Democrazia dei Cittadini

Dossier: Sulla servitù moderna

Dossier: Sulla servitù moderna

Autismo, ambiente e famiglia

Autismo, ambiente e famiglia

Personalis cogitatio (4)

Personalis cogitatio (4)

Emigrazioni moderne (corsa ad handicap)

Emigrazioni moderne (corsa ad handicap)

Popolo

Popolo

Senso Civico: reti di appartenenza

Proviamo ad approfondire l’argomento “Senso Civico”, volessimo dare un significato a questo termine  potremmo anche asserire che si tratta di un atteggiamento di fiducia verso gli altri indirizzato ad un disponibilità di cooperazione verso per il miglioramento della propria società; a mio vedere la fiducia produce effetti benefici a tutta la società, migliora il funzionamento delle istituzioni ed in generale dei servizi pubblici, edificando di fatto una migliore qualità della vita.Un atteggiamento contrario, di fatto, provoca indifferenza se non anche azioni prevaricatorie verso gli altri e verso le risorse pubbliche.
Ognuno di noi nella vita partecipa a delle reti sociali di condivisione e/o di scambio, esse possono essere catalogate in due tipologie: orizzontali o verticali.
Quelle orizzontali accostano tra loro persone che sono membri di uno basamento similare (es. genitori di una scuola, relazioni fra vicini o componenti di un’associazione) e spesso propagano una reciproca solidarietà, un vero capitale sociale, in sostanza.
Quelle verticali legano invece  persone appartenenti  a livelli diversi e dipendenti  tra loro; possiamo annoverare in questa categorie, solo per farne pochi esempi, i rapporti tra il cittadino col politico di riferimento, con gli eventuali interscambi voto/favore o quelli col capo mafioso locale o col capo di un ufficio pubblico.

Da queste seconde possiamo estrarre alcuni comportamenti che certamente non denotano senso civico:
-Favoritismo: un paziente che  riesce a evitare di fare la fila per una visita grazie ad amicizie e/o raccomandazioni
-Raccomandazione: una persona in posizione di potere fa avanzare pratiche o assunzioni
-Clientelismo politico: un politico scambia benefici contro voti.
-Patronage: distribuzione di posti nella pubblica amministrazione e nel parastato a individui direttamente legati ai partiti e insediati grazie a pressioni partitiche.

Quando la fiducia negli altri prevale, nella società si sviluppano una buona quantità di relazioni orizzontali, se a prevalere invece è la sfiducia le relazioni orizzontali latitano e le relazioni verticali prendono il sopravvento.

Proviamo ad indicare dei segnali che denotano una società  con bassi livelli di fiducia:
-Strade e altri luoghi pubblici sporchi a causa di rifiuti gettati per strada, muri
imbrattati da graffiti
-Mancato rispetto di semafori, dell’obbligo del casco e della cintura di
sicurezza, del codice stradale in generale, del divieto di fumare in luoghi pubblici
-Ostruzione di luoghi pubblici di passaggio (strade, ingressi dei negozi, passi
carrabili, parcheggi riservati a disabili, corridoio dei treni)
-Insofferenza per il lavoro subordinato: impegno scarso o altalenante, assenze
non giustificate, scarso rispetto degli orari
-Furbizia nei rapporti con gli altri
-Proprietà  pubbliche in cattivo stato perché usate senza attenzione, perché volontariamente danneggiate o per scarsa manutenzione
-Mancato pagamento di condominio, utenze domestiche, bollo e assicurazione auto, biglietti treno, imposte
-Bambini e ragazzi maleducati non tenuti a freno dai genitori in luoghi pubblici
-Fonti di rumore ad alto volume senza preoccupazione deivicini
-Violenza come modalità di risoluzione dei conflitti frivoli quali precedenze stradali, liti condominiali, etc
-Violenza come modalità di interazione con le donne
-Furti, scippi, omicidi / delinquenza organizzata


La tipologia delle reti perpetra un effetto anche durante la ricerca di lavoro. Laddove prevalgono le reti verticali la quota maggiore di posti di lavoro viene assegnata per raccomandazione, e perciò chi è escluso o non vuole utilizzare reti verticali compete per un numero di posti di lavoro minore. Non occorre essere dotati di un intelligenza superiore per comprendere che in una società dove la raccomandazione è diffusa, e non compete alla meritocrazia assegnare un ruolo, si scoraggia l’investimento in istruzione ed investimenti e si determinano servizi pubblici poco efficienti affiancati da una minore competitività. Del resto la comprensione dell’importanza di una società meritocratica è molto recente, sostanzialmente appartiene al pensiero moderno ed anche all’interno di questi  fatica ad imporsi, un esempio eclatante, ancora oggi, è facilmente verificabile in alcuni imprenditori che mandano a picco la loro fabbrica affidandola ai figli, anche quando essi non toccano i livelli di competenza  di alcuni dipendenti.

La genesi del senso civico
Parte della psicosociologia sostiene che gli atteggiamenti di fiducia o sfiducia hanno radici storiche ed economiche, l’atteggiamento di sfiducia nel prossimo è sintomatico delle società dove non conviene o non è concessa la cooperazione, società cioè povere e/o istituzionalmente disorganizzate in questo senso.
Secondo Banfield, che nel primo dopoguerra studia le relazioni sociali in un piccolo paese della Basilicata, la principale legge che guida il comportamento degli individui in società di questo tipo è quella del ‘familismo amorale’, vale a dire: “Fregatene degli altri, cerca di ottenere in ogni modo i maggiori vantaggi immediati per te e la tua famiglia, e comportati come se tutti gli altri si comportassero in questo modo”.

Quando trasmessa, la sfiducia negli altri può estendersi al futuro, trasmessa fra generazioni, anche se la situazioni socioeconomiche mutano, sebbene che delle esperienze opposte, vissute personalmente, possano modificare questo trand.
Passiamo ad un esempio pratico … abito in un palazzo, di fronte a me, sul pianerottolo c’è un altro appartamento, di chi lo abita non conosco nemmeno il viso, lo sento raramente entrare ed uscire.

Nel palazzo l’amministratore non fa il suo dovere, alle appliques che illuminano il piano si sono “bruciate” le lampadine, il problema è chi le sostituisce. Debbo scegliere tra le azioni possibili:
- non occuparmene, stando al buio
- sostituire la lampadina solo all’applique sul mio lato, sperando in lui per l’altra
- sostituirle entrambe io, sperando che la volta successiva lui  faccia altrettanto
Se provo diffidenza nel prossimo presumo che il dirimpettaio non sostituisca le lampadine, se sono fiducioso proverò, per qualche volta, a sostituirle io. Se non agisco rischio di stimolare l’altro a fare altrettanto, se agisco il mio vicino si rende conto che non sono un tipo ostile, e può concludere che con me qualche cooperazione è possibile; da questo, che può apparire come una banalità, possono scattare altri meccanismi di cooperazione nei momenti in cui, ad esempio, ho dimenticato di acquistare il caffè oppure ho bisogno del latte quando sono malato.
I nostri atteggiamenti però non derivano solo da quanto descritto qui sopra, in larga parte dipendono anche da quanto ci trasmettono i mass media, la ricezione di quanto accade, conformemente a come ci viene presentato, ha una forte attitudine nel forgiare o annientare il senso civico, perché raffigura esplicite le “regole del gioco” a cui tutti i cittadini sono assoggettati.                                                                                        Comprensibilmente il senso civico esce screditato dall’osservare l’inefficienza e la corruzione degli amministratori pubblici, la prevalenza degli interessi particolari sugli interessi generali, la sistematica violazione delle norme e/o la scarsa equità delle istituzioni verso i cittadini.

Con quali modalità  è possibile migliorare?
Come promuovere il senso civico e le reti orizzontali?
Ribadiamo che a livello individuale il senso civico e capitale sociale sono maggiori quanto più una persona:
- È cresciuta in un contesto familiare caratterizzato da fiducia e disponibilità a collaborare verso con gli altri
- Ritiene di poter soddisfare i propri bisogni di vita attraverso l’iniziativa personale e/o la collaborazione con gli altri
- E’ oggetto di atteggiamenti di rispetto e cooperazione da parte degli altri e verifica che chi viola le regole paga pegno
- Ritiene di poter influire sulla gestione della cosa pubblica e/o che la cosa pubblica sia bene amministrata.

Per ottenere questi risultati è possibile agire su più ambiti, quali singoli cittadini possiamo:
- Manifestare un atteggiamento di gentilezza e cooperazione verso gli altri e rifiutare la violenza come modo per risolvere i conflitti
- Rifiutare di essere parte di sistemi clientelari
- Sostenere quelle forze politiche e associazioni che condividono questi valori
- Utilizzare una parte del nostro tempo libero per intervenire a livello individuale e/o impegnarci assieme ad altri in attività sociali
In mancanza di un contributo sociopolitico risulta però molto più complicato ottenere risultati incisivi e duraturi, solo la presenza di una società dove l’individuo può farsi valere per le proprie capacità  e la partecipazione a reti orizzontali permette di ottenere risultati positivi.
Se non arriva l’input da parte degli attori che gestiscono o influenzano la gestione dei servizi e la distribuzione delle risorse pubbliche  si complica alquanto lo sviluppo del senso civico, necessita che ognuno di essi, nel proprio ambito, si spenda per:
- Istituzioni pubbliche il cui funzionamento (inclusa la gestione del personale e l’assegnazione di risorse pubbliche) sia basato sul merito e reso trasparente, anche attraverso il coinvolgimento degli utenti
- Sanzioni efficaci con chi non assicura il rispetto o non rispetta le regole e regole facili da comprendere e rispettare (ad esempio senza cestini sulla spiaggia la quantità di spazzatura abbandonata è maggiore)
- Attività educative che evidenzino i vantaggi del senso civico, del capitale sociale e della meritocrazia
- Assicurare possibilità di avanzamento sociale ai meno abbienti, fra i quali spesso la mancanza di senso civico è particolarmente diffusa.
- Una valutazione preventiva di tutte le scelte politiche e delle normative sulla base di questi criteri.

Il quesito è: avranno interesse costoro a sviluppare il nostro senso civico?
Secondo me non lo hanno, di conseguenza dobbiamo essere noi con le nostre azioni quotidiane a sopperire a questa “mancanza”.

Giorgio Bargna