martedì 26 novembre 2013

Il costo dell’ amministrare (Lettera aperta a “Lavori in Corso”)

Qualcuno si chiederà perché certe cose non le ho scritte in privato anziché renderle di dominio pubblico. Le risposte sono semplici: da sempre sono una cellula impazzita di questo movimento politico (qualcuno mi ha dipinto quale pericoloso esempio verso i giovani), un ribelle instancabile che tuona spesso (a volte a torto, altre a ragione) senza ritegno e poi, sinceramente, i miei spazi web non se li fila nessuno, è quasi come se avessi scritto privatamente usando un mezzo visibile a tutti.

Ma veniamo al dunque. Da ormai sette anni aderisco a “Lavori in Corso”, ho fatto questa scelta perché in questo movimento ho sempre visto dipinti  alcuni tratti che mi hanno  sempre appassionato: la spinta verso la “Democrazia Diretta e Partecipata” ed una forte voglia di cambiare le cose in essere…alcuni di noi (come me) vorrebbero (volevano) cambiare il mondo, ad altri basta, basterebbe, cambiare Cantù…io temo che Cantù sia legata al resto del mondo e che solo con esso possa migliorare.

Non proprio da ieri un Sindaco ed una Giunta di nostra espressione (supportati da una maggioranza in Consiglio Comunale) amministrano la nostra città e malgrado quanto ne dicano molti detrattori cominciano a vedersi i frutti del lavoro portato avanti.

Sul piano di quella Democrazia che ho citato qui sopra non ho che da essere soddisfatto, abbiamo introdotto Prosindaci ed Assemblee di Quartiere (ma anche cittadine), stiamo per portare a conclusione anche il percorso attuativo di un nuovo modo di vedere i Referendum, abbiamo messo in pista e miglioreremo mezzi telematici di consultazione e ricezione dei problemi…stiamo mettendo pista (sia pure in modo limitato e sperimentale al momento) anche il “Bilancio Partecipato”. Ho visto somministrare anche una forma di Democrazia mai vista in città, quella della tolleranza, dell’accoglienza, dell’integrazione e del rispetto..due esempi su tutti il Festival Boreal e il sostegno ed il rispetto verso chi vive religioni diverse da quella cattolica.

Molti altri punti (non tutti ovviamente potranno essere completati in un mandato o parte di esso) del nostro programma elettorale stanno prendendo corpo, a partire da un PGT che la città aspettava da quasi un decennio, sviluppato a costo praticamente zero, che innova la concezione della spazio cittadino. Stiamo cercando di risolvere la vergogna cittadina di un Palazzetto che sembra non voler mai essere inaugurato ed utilizzato, stiamo cercando di preservare al massimo il sostegno sociale verso chi ha gravi problemi economici o di salute, stiamo cercando (grazie al Corpo dei Volontari Civici) di tornare a prenderci cura delle piccole e grandi cose della nostra città, stiamo valutando, in parte sperimentando, un nuovo modo di intendere l’utilizzo (per un futuro, la produzione) dell’energia.

Ritengo sia un buon servizio (forse meglio dire un buon dovere applicato) verso la nostra Città, verso la nostra Comunità…questo però ha un prezzo, un prezzo caro che spesso mi chiedo se valga la pena venga pagato, che spesso mi chiedo se i nostri concittadini (ed io) avranno la forza di sostenere in un momento in cui si fatica a mettere un piatto di minestra a tavola in diverse case canturine.

L’essersi accodati (come Stato) ai Trattati di Lisbona e seguenti, dovendosi adeguare a certi meccanismi di una stabilità assurda, l’essere svincolati, quale movimento locale e innovatore, dai partiti nazionali ha fatto si (come spiegava chiaramente sul suo profilo fb, e non solo, il nostro Sindaco) che Stato e Regione abbiano decimato fragorosamente le cifre da loro destinate alle casse del nostro Comune. La conseguenza è stata dover innalzare tributi e tariffe, con risultati comunque non sempre gratificanti, anzi. Ognuno può capire da se, senza frequentare ambienti politici o economici che queste scelte dovranno, per sopravvivenza, essere rinnovate e magari moltiplicate.

Io sinceramente mi sento molto a disagio (diciamo così) in questa situazione, con tutto quanto possiamo produrre di buono in parallelo non voglio recitare la parte del “Pubblicano” a favore di uno Stato e di una “Classe Dirigente” despoti ed vessatori.

Mi rendo conto comunque che abbiamo da portare a buon fine qualche punto del nostro programma, penso anche però che non possiamo, noi essere vessatori perenni ed allora…
..allora (posso essere apparentato ad un filosofo, di certo non ad un tecnico, quindi magari sbaglio nella mia proposta) presumo che le scelte economiche dovranno passare da Bilanci Comunali, bilanci che dovranno passare dal Consiglio Comunale…penso resistiamo un paio di Bilanci, poi trasformiamoci.

Come resistere a questi Bilanci senza assumerci le responsabilità di chi questo quadro economico lo ha voluto?
Ai voti chiedo ai nostri Consiglieri, tranne uno (potrebbe essere il Sindaco o un Capogruppo), di astenersi e di mostrare la propria contrarietà a questa situazione. L’unico voto garantirà (da parte nostra) che i Bilanci passino e non vi siano commissariamenti, dopo di che siano le espressioni comunali dei partiti locali, sedute in opposizione, a fare il resto, prendendosi le proprie responsabilità (conseguenti a scelte “Romane”) per una volta, anziché limitarsi a sterili polemiche politiche.

Qualche punto programmatico, un paio di Bilanci e poi Lavori in Corso si trasformi (per non correre il rischio di divenire “Classe Dirigente”) in un semplice movimento di opinione che sproni i Cittadini al cambiamento, senza più dover andare a contatto diretto con queste situazioni, lasciando la mano a chi è abituato a vessare i Cittadini.

So che pochi, probabilmente nessuno di voi, riuscirà a condividere quanto scritto qui sopra, ma non importa, ci tenevo a raccontare un disagio enorme e la difficoltà oggettiva di vivere il nostro movimento, le nostre scelte oggi e domani, l’inesistente voglia di condividere certe scelte.
Giorgio Bargna


Rinascita

Scrivo molto meno in questi periodi, stanco di predicare e non vedere cambiamenti immediati, ma la saggezza dell’età che avanza mi spinge ad aspettare fiducioso ed a continuare a provarci, forte soprattutto del fatto che il SISTEMA sta  crollando.

Qui e su giorgiopartecipativo ho scritto spesso di localismo, sostenibilità, comunità e tradizioni.

La storia delle nostre comunità locali è passata attraverso parecchi periodici storici, spesso ha subito qualche mutazione, anche sensibile, raramente però  è stata modificata in senso pieno…uno di questi casi rari lo stiamo vivendo, il capitalismo, l’individualismo che ne consegue, il consumo ad ogni costo hanno minato “modi di essere” che arrivavano da molto lontano.

Scriveva su, “Il giornale del Ribelle” , Luciano Fuschini:
Oggi viviamo un’altra grande cesura della storia, un passaggio epocale che si svolge sotto i nostri occhi, con le migrazioni dei popoli, il disorientamento generale, i ritmi frenetici di una vita alienata, le angosce di un presentimento di fine, la conflittualità non solo fra nazioni ma fra generazioni e fra generi, mentre a un massimo di comunicabilità garantita dai mezzi tecnologici corrisponde un minimo di comunicazione effettiva”.

L’autore si spende su filosofie nell’articolo, ma ala fine si concentra sui punti focali:
A livello politico si tratta di recuperare un universalismo che è stato smantellato dagli Stati Nazionali, creazione moderna e non dato di natura come ci si vuole far credere. Un universalismo che non è certamente quello della globalizzazione né l’attuale UE, bensì l’ideale di un Impero europeo da non confondere con l’imperialismo, un Impero come lo intende A. de Benoist, altro riferimento per noi irrinunciabile, che potrà nascere solo da un processo rivoluzionario di mobilitazione di passioni popolari, non dalle burocrazie esangui dei funzionari di Bruxelles”.

L’autore è, come me convinto che la forma capitalistica, alias di modernità, votata ad una logica di riproduzione infinita e di un consumo illimitato e di mercificazione di ogni rapporto umano e commerciale sia un nemico da allontanare.

Le sue parole sono chiare:
A livello sociale si tratta di ripristinare il senso del radicamento, combattendo il nomadismo della civiltà orgiastica in cui viviamo. A un livello sociale ed economico al tempo stesso si tratta di invertire il processo che con l’urbanizzazione ha creato mostruosi agglomerati, vera manifestazione del demoniaco, verso un ritorno all’agricoltura, all’artigianato, alla piccola industria, alle fonti energetiche diversificate e rapportate alle risorse del territorio, all’autoproduzione e autoconsumo”.

Come me Fuschini è convinto che sulle basi di questa “ antimodernità” si possa basare un recupero della tradizione, fondandosi sul concreto, non sui miti di ogni sorta.

Oggi  l’antimodernità deve trasformarsi chiaramente in un’ ideologia, in quella spinta che cambia e salva il mondo, altrimenti obbligato ad implodere su se stesso, tanto economicamente che ambientalmente, basandosi si sulla tradizione, ma anche su una nuova comunità rigenerata che sappia apprendere dagli errori recenti.
Giorgio Bargna


Ripartiamo dalle città

Sono e rimarrò sempre convinto di un idea: le piccole realtà sono di fatto le più grandi depositarie di rapporti sociali e civici robusti. Chiunque si adoperi nella loro consolidazione e proposizione, opera, senza dubbio, a favore della ricostruzione sociale e politica di un Paese.

Non illudiamoci, comunque, che le nostre “piccole patrie”siano integralmente immuni dalla disgregazione civica, sociale e (soprattutto) morale che sta attanagliando la nostra epoca … questo va esplicitato.

Vale a dire che dovremo andare a ridisegnare da capo il senso di città, di comunità,di civicità; sensi che negli anni hanno subito una deviazione non indifferente. Occorrerà, certamente, sviluppare il senso di città considerando anche la propria specifica dimensione storica e la proiezione universale imprescindibile.

Ne ho già scritto, amo il modello medioevale basato si su una identità specifica, ma aperto, in modalità universale, sia commercialmente che culturalmente, sempre più dialogante che offensivo.

Non si può prescindere, riflettendo politicamente di città e comunità, da riflessioni storiche, sociali, politiche, urbanistiche su ogni singola città.

La città
Una città, necessariamente la riconosci e la puoi interpretare, rimodellare solo attraverso quanto ha prodotto in passato; mi viene da aggiungere una citazione di Robert Park: “La città è qualcosa di più di una congerie di singoli uomini e di servizi sociali, come strade, edifici, lampioni, linee tranviarie e via dicendo; essa è anche qualcosa di più di una semplice costellazione di istituzioni e di strumenti amministrativi, come tribunali, ospedali, scuole, polizia e funzionari di vario tipo. La città è piuttosto uno stato d'animo, un corpo di costumi e di tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti organizzati entro questi costumi e trasmessi mediante questa tradizione”.

Quanto qui sopra potrebbe apparire retorica, invece la scommessa si gioca proprio sulla capacità di realizzare fusione di culture e di comportamenti che solo forme elevate di  espressioni e di insediamenti umani possono determinare.

Urbanistica

Abbiamo citato tra l’altro l’urbanistica, non abbiamo scritto una cosa da poco; scriveva Raffaele La Capria: “Cambiare la struttura urbanistica di una città significa cambiarne la morale”.

Scriveva più pesantemente, ci sono anche situazioni non chiare di forma più leggera, ma questo da un certo senso, Carlo Alberto Dalla Chiesa: “La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.

Senso civico

Abbiamo scritto di riflessioni sociali, il “senso civico” in questa categoria gioca un ruolo determinante, direi fondamentale. Gli atteggiamenti di fiducia o sfiducia hanno radici storiche ed economiche, l’atteggiamento di sfiducia nel prossimo è sintomatico delle società dove non conviene o non è concessa la cooperazione, società cioè povere e/o istituzionalmente disorganizzate in questo senso.

Comprensibilmente il senso civico esce screditato dall’osservare l’inefficienza e la corruzione degli amministratori pubblici, la prevalenza degli interessi particolari sugli interessi generali, la sistematica violazione delle norme e/o la scarsa equità delle istituzioni verso i cittadini. Con quali modalità  è possibile migliorare? Come promuovere il senso civico e le reti orizzontali?

Ribadiamo che a livello individuale il senso civico e capitale sociale sono maggiori quanto più una persona:

- È cresciuta in un contesto familiare caratterizzato da fiducia e disponibilità a collaborare verso con gli altri

- Ritiene di poter soddisfare i propri bisogni di vita attraverso l’iniziativa personale e/o la collaborazione con gli altri

- E’ oggetto di atteggiamenti di rispetto e cooperazione da parte degli altri e verifica che chi viola le regole paga pegno

- Ritiene di poter influire sulla gestione della cosa pubblica e/o che la cosa pubblica sia bene amministrata.

Per ottenere questi risultati è possibile agire su più ambiti, quali singoli cittadini possiamo:

- Manifestare un atteggiamento di gentilezza e cooperazione verso gli altri e rifiutare la violenza come modo per risolvere i conflitti

- Rifiutare di essere parte di sistemi clientelari
- Sostenere quelle forze politiche e associazioni che condividono questi valori

- Utilizzare una parte del nostro tempo libero per intervenire a livello individuale e/o impegnarci assieme ad altri in attività sociali

In mancanza di un contributo sociopolitico risulta però molto più complicato ottenere risultati incisivi e duraturi, solo la presenza di una società dove l’individuo può farsi valere per le proprie capacità  e la partecipazione a reti orizzontali permette di ottenere risultati positivi. Se non arriva l’input da parte degli attori che gestiscono o influenzano la gestione dei servizi e la distribuzione delle risorse pubbliche  si complica alquanto lo sviluppo del senso civico, necessita che ognuno di essi, nel proprio ambito, si spenda per:

- Istituzioni pubbliche il cui funzionamento (inclusa la gestione del personale e l’assegnazione di risorse pubbliche) sia basato sul merito e reso trasparente, anche attraverso il coinvolgimento degli utenti

- Sanzioni efficaci con chi non assicura il rispetto o non rispetta le regole e regole facili da comprendere e rispettare (ad esempio senza cestini sulla spiaggia la quantità di spazzatura abbandonata è maggiore)

- Attività educative che evidenzino i vantaggi del senso civico, del capitale sociale e della meritocrazia

- Assicurare possibilità di avanzamento sociale ai meno abbienti, fra i quali spesso la mancanza di senso civico è particolarmente diffusa.

- Una valutazione preventiva di tutte le scelte politiche e delle normative sulla base di questi criteri.

Senso civico significa non solo riconoscersi nell’inno nazionale o nella bandiera, ma anche in tutti quegli elementi che costituiscono gli emblemi della cultura  e del paesaggio comunitario; il vantaggio che offre ad una comunità l’avere il senso civico è, oltre alla possibilità di usufruire nell’immediato dei beni pubblici, un risparmio economico per gli enti locali, i quali non si troverebbero più nella necessità di dover  riparare o comprare nuove panchine oppure i vetri delle pensiline, pagando, inoltre, chi li installerà, fermo restando i costi di manutenzione ordinaria.

Oltre le città

E’ scattato, a mio vedere, opinabile se volete, un meccanismo di autodifesa negli ultimi anni, un netto radicamento della popolazione sul territorio, praticamente un “effetto non desiderato” dalla nomenclatura europea, la quale sperava che con la crisi si potesse spazzare via ogni residuo di identità nazionale e si ritrova invece con tanti popoli che rivendicano se non l’autodeterminazione quantomeno l’autogoverno. Potrebbe essere questo lo scenario futuro europeo: una serie di tanti Stati, piccoli sì, ma più radicati con i popoli e quindi sempre più espressione di una forte identità nazionale, da cui poter far ripartire il corso democratico interrotto con l’avvento della dittatura della finanza internazionale.

Si delinea su alcuni fronti una volontà popolare orientata verso una maggiore identificazione con la propria terra, in risposta alle mire di un sistema senza Stati teorizzato e portato avanti dagli architetti del nuovo ordine mondiale. Anche se qualche globalizzatore nega questa possibilità esistono innegabili le radici "vere" della nostra identità, il legame con la madre terra; la cultura, la storia, la lingua, identificano legando l’uomo al territorio che calca o in cui è nato, ogni tentativo posto in essere a negare l’esistenza di tali elementi, subirà una reazione del tutto opposta da parte dell’individuo stesso. Certamente i caratteri regionali non sono dati eterni e immutabili, ma sono anche, ma non solo,  il frutto dell'interpretazione che gli attori sociali ne danno nel corso del tempo.

Attualmente localismi e regionalismi sono una risposta ribelle all'affermazione degli stati nazionali e alla conseguente costituzione di centri di potere, burocrazie e istituzioni in grado di esercitare influenza sulla periferia non solo nella sfera politica, ma anche in quello della rappresentazione simbolica del senso di appartenenza.

Certamente è un ovvietà affermare che le piccole patrie di per se stesse poi non reggono,  più difficile potrebbe essere invece tracciare quel percorso di confederazione aperta ed elastica che occorre per ridisegnare una cartina decisamente più funzionale, libera e sostenibile.

Un possibile percorso

Scrivo, penso, da sempre sia inutile per ogni movimento che sogna autonomia e/o indipendenza fare voli pindarici, essenziale è  restare coi piedi per terra, non sognare grandi alleanze extraterritoriali, ma impegnarsi sui propri territori a cementare comunità vere e vive … diventare “catalani”, “scozzesi” richiede un processo lungo che richiede la presenza di grandi spinte politiche. Potremmo descrivere quantità immense di esempi, ognuno di essi però poi andrebbe testato in una realtà contingente, che prima occorre creare.

Una minima traccia però possiamo seguirla. A mio avviso è necessario ripartire dal “Locale” quale arma sia ecologica, che di rilancio culturale e tradizionale; l’esperienza accumulata in milioni di anni non è poca cosa.

Nel Locale troviamo quello spazio naturale in cui l’individuo, reso tale dal modernismo e dal liberismo, torna ad essere un tassello organizzativo, torna a sentire in se stesso lo status di appartenenza, torna a sentirsi responsabile del proprio territorio; in questo “terreno fecondo” possono crescere la vera democrazia partecipativa, il vero federalismo, il commercio sostenibile e l’abbattimento del consumo energetico.

Non isolamento, però, attenzione, la sfida di questo millennio è costruire un Locale che sappia relazionarsi, federarsi e confrontarsi verso il resto della comunità, vicina, ma anche mondiale … dunque basi solide e apertura verso l’esterno, purchè “virtuosa”.

Approfondiamo però per qualche istante su alcuni possibili percorsi.

Occorre sicuramente  ri-localizzare quelle risorse che risultano fondamentali alla comunita'; potremmo inserire in scaletta ad esempio cibo, energia, edilizia, sanita', oggetti  ad uso essenziale.

Ogni buon amministratore locale dovrebbe riuscire, innanzitutto, ad analizzare le ricchezze della propria comunita' e costruire un piano di trasformazione che miri al massimo dell’autonomia, intesa nel significato completo del termine. Vi sono esempi pratici disseminati, se pur non ancora molto diffusi, sul pianeta.

Si può puntare tranquillamente allo sviluppo di orti (privati, ma anche no), classici o anche pensili (sui balconi, ma anche in casa, l’agricoltura idroponica ad esempio può aiutare), alla piantumazione di alberi fruttiferi nei parchi pubblici e nei viali, allo sviluppo, magari, di fattorie collettive.

Con la stessa fantasia (e lo stesso coraggio, va detto) si possono stimolare anche gli artigiani e le piccole imprese nel produrre in prospettiva al consumo locale e non di quello esportativo. I manufatti che passano direttamente dal produttore al consumatore si ritrovano ad essere sgravati dei costi dei sistemi di distribuzione, inoltre un trasporto a breve raggio permette di abbattere una delle cause dell’inquinamento.

Chi amministra un ente locale spesso si ritrova in difficoltà quando cercando di adempiere ad un proprio compito cerca soluzioni di rilancio economico e produttivo. La cosa vista con  superficialità appare spesso arida di soluzioni, ma esistono visioni più profonde e coraggiose.
Possiamo pesare la ricchezza della comunita', se la vogliamo intendere veramente per tale, anche tramite la capacità di autoprodurre quanto poi viene acquistato ed usufruito sul territorio, sia come servizi, che come consumo generico.

Possiamo su questo tema aiutare sia chi produce che chi consuma; ad esempio l’acquisto consociativo di cibo e beni essenziali si traduce in risparmio.

La  creazione di una rete di produzione locale efficiente e che porti realmente ad un servizio valido, ad un abbattimento dei costi ed una certa sostenibilità consente di proporre di investimenti localmente.
Cittadini ed imprese spesso e volentieri investono i propri risparmi o gli utili in titoli di stato o in svariati fondi di investimento; occorre invece dirottarli verso un investimento locale, economicamente anche più sicuro e controllabile.

Aldilà dell’investimento su un edilizia cooperativa e solidale i nostri amministratori possono puntare anche verso lo sviluppo di una rete di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che renda autosufficiente il territorio.

Potrebbero (in parte, in realtà, in alcuni casi, si fa già) investire e far investire aziende e consumatori indicando la via di un perfezionamento energetico degli edifici tramite azioni quali l’ isolamento dei tetti, tripli vetri, muri coibentati.

Non va sottovalutato neppure l’aspetto monetario locale. Se ben intesa e sviluppata la moneta locale crea un meccanismo di doppio prezzo, spendendo denaro locale (che viene così reinserito in circolo) hai uno sconto sulle merci. Se ben intesa la moneta locale significa anche ciò che molti definiscono  “banche del tempo” (per me si tratta essenzialmente di baratto). Questo meccanismo crea economia e moneta virtuale, col tuo lavoro prestato acquisti un servizio, un interscambio di servizi ben veicolato consente di maturare il servizio acquisito  tramite una terza persona, che poi si rivolgerà ad una quarta e via proseguendo … in tempi di vacche magre non è male, e forse un tempo funzionava così automaticamente.

In questi momenti di crisi economica il nostro amministratore deve avere la lungimiranza di intervenire su quello che gli è concesso. Se magari non può permettersi di modificare un economia globale in toto, cerca di viverne ai margini e creare contromosse.

Giorgio Bargna

Lettera aperta a chi mi amministra ed ai miei concittadini

Inseguo un sogno targato “Lavori in Corso” da circa otto anni. Finalmente da un anno abbiamo il primo “Governo Cittadino” targato LiC . Non è un segreto che io abbia condiviso molte scelte e criticato altre, a volte anche in modo aspro, ma sono pienamente convinto che questa Amministrazione canturina sia la migliore degli ultimi trent’anni. Saranno anche punti di vista personali, ma per me è così.

In questo anno un Sindaco ed un numero ridotto di Assessori si sono spesi seriamente nel tentativo di ridurre al massimo le spese, di ascoltare al massimo i concittadini, di governare al meglio delle proprie capacità il nostro territorio. Considero i due fiori all’occhiello di questa Amministrazione il tanto sospirato varo del PGT e l’istituzione degli Organo di Democrazia Diretta e Partecipata.
A costo praticamente zero, in un anno, grazie al lavoro fatto dagli Uffici Comunali (alias dipendenti pubblici validi e valorizzati) è stato varato un PGT oltretutto innovativo negli obbiettivi. A costo zero e grazie anche a dei gruppi di lavoro formati da volontari sono state varate le modifiche allo Statuto Comunale ed i regolamenti del caso grazie ai quali oggi abbiamo a disposizione Prosindaci, Assemblee di Quartiere e, prossimamente, Referendum rinnovati ed innovativi.

In questi mesi si è discusso in città di molte scelte varate da questa Amministrazione, alcune sono piaciute, altre no, ai nostri concittadini. Avrebbe voluto “Lavori in Corso” (a mio vedere, sia chiaro) fare molto di più, ma non ha potuto, per vari motivi, forse per uno solo.
Cantù è, a mio vedere, una città stupenda. Non certo per il proprio aspetto esteriore, la bellezza è dovuta a quello che Cantù ha concretizzato negli anni, quello che  i cittadini canturini hanno promosso, in termini di lavoro, di civicità, di accoglienza. Prima che questa crisi globale colpisse l’economia e lo sviluppo in genere Cantù si è resa famosa in tutto il mondo anche e soprattutto per il mobile, settore che tra annessi e connessi coinvolgeva praticamente ogni nucleo familiare, tanto da crearsi in città una morfologia architettonica speculare, fine a se stessa, fatta da edifici misto abitativo/produttivo di cui ancora oggi vediamo le tracce. Una città dove si era sviluppato anche un discreto commercio di vicinato, una città che ha assorbito, secondo me, dando buona risposta, nei decenni, due ondate di immigrazione, la prima interna, la seconda esterna traendone sicuramente giovamento non solo in campo economico. Una città dove l’associazionismo si è sviluppato bene, una città che non ha mai negato un aiuto a chi ne necessitava … ritengo questo essere un grande punto di partenza per un futuro incerto.

Esprimo questi pensieri perché oggi siamo davanti ad un quadro diametralmente opposto, gli artigiani ed i piccoli commercianti sono posizioni sostanzialmente estinte, le industrie ed il grosso commercio che li hanno di fatto cancellati stanno implodendo su loro stessi, l’indigenza moltiplica le proprie percentuali di presenza a dismisura, non ci sono più soldi, non c’è più lavoro (e non solo per i giovani) ed a chi amministra tocca dare una risposta anche a questi problemi, una risposta che deve essere innanzitutto, per quanto ci sia possibile fare, immediata, ma anche lungimirante: quanti stanno amministrando la città, ma anche ogni singolo cittadino, dovranno avere la lungimiranza di guardare senza rassegnazione alla nuova Cantù che sta arrivando, una città probabilmente sarà sempre più povera economicamente e privata di un suo simbolo, il lavoro.
Governare in questi tempi bui ha portato anche a scelte impopolari, non condivisibili a prima vista dalla maggioranza dei cittadini.

Parto da qui: dovremo, se vogliamo vivere dignitosamente, proteggere la nostra città dagli attacchi di chi penserà solo a salvaguardare i propri privilegi e di chi ha acquisito potere su di noi attraverso il Trattato di Lisbona e quanto gli è seguito.
Imposte comunali e quanto ne consegue sono uno dei temi principali di queste ore. Governare schiavi dell’impossibilità di spendere e del Patto di Stabilità è il nostro presente, sarà il nostro futuro, probabilmente la nostra “morte”  quindi se la prima necessità è certamente governare bene col poco a disposizione, dobbiamo avere anche la lungimiranza di tentare di sovvertire questo status.

Scrivo da anni (per pochi e probabilmente folli lettori) di buone pratiche locali ed “Autogoverno”. Bene, le buone pratiche locali le stiamo applicando, ma senza l’Autogoverno continuano a lasciarci i buchi sulle strade e le casse comunali vuote.

Approfondiamo un attimo la questione. L’autogoverno poggia sul principio di sussidiarietà, sulla sovranità democratica degli elettori, sulla libertà di associazione tra cittadini e sulla libertà di unione tra istituzioni territoriali, in genere viene esercitato nell’ambito degli Stati decentrati o federali, in applicazione del principio di sussidiarietà. Le leggi costituzionali di uno Stato prevedono spesso l’estensione o la riduzione orizzontale delle competenze di un centro di decisione, oppure il trasferimento verticale delle competenze tra autorità politiche di vario. Dunque, l’autogoverno è un concetto politico che si regge sui principi di sussidiarietà, solidarietà, cooperazione e coordinamento che sono tipici del federalismo (io amo quello municipale), gli organi di vertice vengono formati attraverso la partecipazione della collettività, attribuendo a essa l’esercizio delle funzioni pubbliche in un determinato ambito territoriale, con l’esclusione di quelle relative ai rapporti con l’estero e la difesa il che consente la costruzione dell’unificazione politica dell’umanità, dalla comunità locale alla dimensione mondiale, nella pace e nell’osservanza della legge, attraverso l’esercizio del sovrano democratico del cittadino ai diversi livelli del potere organizzato, il tutto previsto dalla Carta delle autonomie locali del Consiglio d’Europa, che è stata ratificata come legge interna in quasi tutti gli Stati membri dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e per la Cooperazione in Europa), tra cui anche l’Italia.

Una via lunga e faticosa da percorrere, ma necessaria. Io presumo, ma spesso sbaglio, sia chiaro ad ogni mente libera ed elastica che ormai si tratta solo di sopravvivenza, che siamo davanti ad una classe politica arroccata, che tende semplicemente a difendere i propri interessi, quelli dei propri parenti, quelli degli amici e, se possibile, quegli interessi che possono creare un bacino di voti di scambio. Una classe politica che ci tartassa coi balzelli e che ci taglia ogni servizio impedendoci di avere a disposizione una sanità sicura, un’istruzione decente, un sostegno sostenibile a disabili e bisognosi, solo per fare alcuni esempi.
Dopo tante parole arriviamo ai punti cruciali di questa lettera aperta.

Cosa posso chiedere alla mia Amministrazione ed ai mie concittadini?
Alla mia Amministrazione chiedo due cose:

1) Ogni decisione che potrebbe risultare impopolare e difficile da capire va messa in discussione con i cittadini, essi debbono rendersi conto di quanto accade!

2) Occorre liberarsi dal giogo della classe dirigente centralista che ci ha sopraffatto. Occorre organizzarsi per creare rete sul territorio, un Comune isolato a se stesso, anche se governato al meglio, muore ucciso da un solo motivo: chi lo amministra alla fine diventa (suo malgrado) un burocrate che pensa al solo bilancio, non un bilancio sereno, un bilancio di sopravvivenza. Discutiamo di come liberaci dal giogo.

Ai miei concittadini chiedo invece questo:

Se l’Amministrazione vi chiederà parere dateglielo, se non ve lo richiederà imponetegli di farlo!
E’ ora anche per il cittadino di smetterla di sputare su ogni governo che ha eletto e di tirare fuori le palle!
Con un certo livore, anche perché mi rendo conto che nulla cambierà mai e sto perdendo la voglia di lottare, di sognare
Giorgio Bargna





Assefuazione

Pensiamo ad esempio ai particolari ignobili legati a quanto viene spacciato per unione europea. La sovranità economica è stata cancellata e gli stati sono debitori di una banca privata che impone scelte politico/economico/sociali; il pretendere il rispetto di queste norme viene affidate ad una forza militare internazionale.
Negli anni addietro tutto ciò era impensabile, oggi se le proteste sociali (legate attualmente  alla fame e non alle idee) non venissero soffocate “in casa” interverrebbe, anche senza bisogno di richiesta ufficiale, una forza militare sovranazionale. Nel giro di pochi decenni (direi quasi anni) si è imposto che pochi producono tutto, pochi decidono della distribuzione delle risorse, del disporre del laddove vadano concentrati redditi, del lavoro gratificante e di quello schiavizzante, dei diritti civili, le loro parvenze, la loro assenza totale.
Questa gente non è che agisca propriamente sola, li accompagna una classe politica adeguatamente rimpinguata nelle proprie casse, che ha acconsentito che governi, parlamenti e partiti diventassero i semplici esecutori di decisioni prese più a monte da agenti inappellabili.
Ormai i parlamenti (parlo di assoggettamento a Lisbona e successivi) ratificano semplicemente normative (diciamo così) europee. Ormai chi dovrebbe tutelare il nostro bene comune ed il nostro futuro punta orgoglioso solo sulla crescita e su un ipotetico bilancio di cassa virtuosa creando, quale effetto collaterale ed inevitabile, un enorme debito pubblico ed una recessione implacabile ed autoalimentante che regala nuovi poveri al pianeta ogni ora.
In funzione di un pensiero politico/economico sono state cancellate conquiste e benessere, inventate gabelle impensabili a chi lo sosteneva bonariamente ed impostata una schiavitù economico/culturale.
Organizzazioni, ufficiali e non, per nulla elette dai cittadini e per nulla obbligate a rispondere delle proprie scelte possono violentare i diritti sociali, sottoporre a diktat i paesi aderenti, rendere povera la cittadinanza.
 Si è vissuta un involuzione inedita nei rapporti tra il popolo ed il potere costituito (non si sa bene da chi), poiché il potere non è più lo stato, ma un entità superiore ed evanescente. Diritto, democrazia, responsabilità sono stati cancellati a colpi di spugna; nessuno, a certi livelli è tracciabile e punibile. In un modo nettamente più silenzioso stanno nascendo totalitarismi digeriti col tempo che scorre lento.
Pochi di noi malgrado le molte esperienze precedenti di totalitarismo pare accorgersi. Ancora si sprecano energie a discutere di un Berlusconi ed un Renzi, delle adozioni ai gay si o no e altri temi depistatori senza accorgersi della trappola mortale tesaci in nome dell’Europa.
A questo punto abbiamo due orizzonti, o un brusco risveglio o una totale abnegazione verso il totalitarismo…io direi svegliamoci.

Giorgio Bargna

Né Marxismo né Capitalismo, sosteniamo il Localismo

Ne scrivo spesso, ma vale la pena di ritornarci sopra anche mille volte.
Quali sono i frutti negativi della modernità?

Essa ci ha portato sicuramente qualche beneficio sia chiaro, ma non morire più per un mal di denti od avere il bagno in casa, essere dotati di un cellulare e di un auto comodissima presenta un conto veramente salatissimo.

Viviamo in questi decenni una sovrappopolazione che rischia di divenire insostenibile (se la terra è nata per ospitare un tot numero di persone mica possiamo decuplicarle).
Viviamo le conseguenze imposte dalla natura ai nostri comportamenti partendo dal riscaldamento globale arrivando alle alluvioni ed alle frane sempre più frequenti.
Viviamo sicuramente una diminuzione delle risorse alimentari naturali e siamo schiavi della crisi energetica.

Viviamo la schiavitù di una globalizzazione finanziaria che cede enormi poteri alle banche.
Sono sintomi questi di una malattia gravissima, fattori di una crisi di sostenibilità sempre più aggressiva irrisolvibili tramite quei metodi “tradizionali” che ci vengono propinati.

Ci sono persone che governano il paese, non aspettiamoci da loro ricette alternative, “fanno politica” nel senso brutto; il senso per il quale le logiche del profitto prevalgono sempre, per cui l’economia ha sempre dettato legge, e la politica senza poter guidare l’economia non conta nulla.

Abbiamo vissuto negli ultimi decenni divisi, pro o contro, sui due regimi in voga quello capitalista e quello comunista. In sostanza due facce della stessa medaglia, due regimi che hanno bisogno di grandi masse di schiavi salariati da sfruttare, dove è indifferente se chi comanda è il padrone o il partito.
Nel nostro paese, tra i partiti “tradizionali”, non ricordo voci veramente tuonanti che orientino verso termini diversi dalle logiche capitaliste, tutti negano la strutturalità della crisi e la necessità di cambiare profondamente il modello economico.                                 
Dobbiamo optare (lo facciano almeno i giovani, noi oltre una certa età faticheremmo, scrivo soprattutto per loro) ad un “nuovo” stile di vita. Singoli cittadini, famiglie, amministrazioni (locali e non) piccole (o meno) cooperative, hanno un futuro avanti a se solo se intraprendono la strada virtuosa della autosufficienza energetica etica ed alimentare. Ho espresso spesso concetti di comunità; ecco occorrono comunità capaci di produrre energia rinnovabile sufficiente ai propri bisogni, produrre cibo per se stessi e non per il “mercato”, di realizzare autonomia idrica e magari di sostenersi su una moneta locale.
Immaginatevi oggi cosa potrebbe significare per una metropoli (ma non solo per essa) una crisi energetica dovuta alla mancanza di petrolio, nel giro di poche ore si esaurirebbero le scorte alimentari e nel breve fiorirebbero il mercato nero e la delinquenza della rapina per sopravvivenza.  Un esempio non lontanissimo, il black out di non ricordo quale city americana, grazie al quale assistemmo a  saccheggi e uccisioni, la democrazia e l’onestà vennero polverizzate da comportamenti da età della pietra.
Ci siamo scordati tutti che la maggior parte delle merci necessarie può essere prodotta in casa o tramite aziende locali dalle dimensioni umane, azione che contrasterebbe e limiterebbe ferocemente la creazione di grossi interessi economici, di monopoli, origine di molti mali. La società della piccola produzione, dell’indipendenza energetica autoprodotta, dell’agricoltura biologica, del rispetto dell’aria e dell’acqua è l’unica società che non avrà paura di nessuna crisi e che avrà un futuro.                                                                                       
I corsi ed i ricorsi storici hanno una valenza, la Roma “globalizzatrice” del S.R.I. ebbe sino a due milioni di abitanti e merci provenienti da tutto il mondo, ma fallì, la città si svuotò scemando a 35mila abitanti ed alle persone non rimase che di spandersi per le campagne a fare i contadini.

Giorgio Bargna

Svincolarsi

Mi permetto ancora una volta di prendere spunto dai pensieri di colui che considero un mio “guru” in senso politico, Alain de Benoist.
Oggi è noto a tutti coloro che sono “svegli di comprendonio” che imperi la società della crescita, in sostanza un’antisocietà, una via senza ritorno, un omicidio perpetrato ai danni di molti da parte di pochi.
Ogni politico, ogni governante, da qualsiasi estrazione politica “tradizionale” provenga, non vede altre soluzione ai suoi  problemi che quella di un “ritorno alla crescita”… nel frattempo però ci stanno massacrando di rigore e austerità, togliendoci, di conseguenza, potere di acquisto, ma soprattutto di sopravvivenza, come un cane che si morde la coda … sebbene un continente intero stia pagando in termini di recessione, impavidi, i “nostri” inseguono imperterriti la crescita,  malgrado che si viva su un pianeta che, di logica conseguenza, ha uno spazio finito, dove le riserve naturali si fanno sempre più rare … certo recedere non si può in un botto solo, ma da un qualche latidutine bisognerà  pur certo cominciare.
Del resto la difficoltà di una rivoluzione operante dipende da ciò che de Benoist descrive così:
«Proibendo alle proprie banche centrali di farsi prestare capitali ad un tasso d’interesse nullo, come accadeva di norma in passato, gli Stati si sono posti  nell’obbligo di chiedere prestiti alle banche ed ai mercati finanziari a dei tassi variabili, arbitrariamente fissati da questi ultimi. Questo si è tradotto in un innalzamento del  debito pubblico che oggi è divenuto insopportabile. Non arrivando a riassorbire i loro deficit strutturali, gli Stati non possono affrontare il problema del debito, se non indebitandosi sempre più. Di fatto, in tal modo si è creata una situazione simile a quella dell’usura».
Aggiungendo un argomento scottante al dominio della finanza sulla politica e sulla buona amministrazione non posso che condividere il pensiero del filosofo francese, anche perché è quanto affermo, sui miei spazi, da anni: tanto la destra quanto la sinistra approfittano e sponsorizzano l’immigrazione incontrollata. Leggiamo la chiara disamina di de Benoist:
«Fin dalle sue origini, il capitalismo ha rivelato una profonda affinità col nomadismo internazionale. Già Adam Smith  diceva che la vera patria del commerciante è quella dove può realizzare il massimo profitto. Prendere posizione a favore del principio del “lasciar fare, lasciar passare”, cioè della libera circolazione di uomini e merci, così come ha sempre fatto il capitalismo liberale, significa mantenere le frontiere per gli inesistenti. Dal punto di vista della Forma-Capitale, la Terra non è che un immenso mercato che la logica del profitto ha la vocazione di scoprire integralmente, impegnandosi in una perpetua fuga in avanti. Il capitalismo, come aveva ben visto Marx, riguarda tutto ciò che ostacola questa fuga in avanti in quanto ostacolo da far sparire. In questa prospettiva, il ricorso all’immigrazione appare come un mezzo per mantenere bassi i salari e le conquiste sociali dei lavoratori autoctoni. È in questo senso che l’immigrazione costituisce “un’armata di riserva del capitale” bella e buona. Il paradosso è che molti avversari del capitalismo vorrebbero vedere continuare l’immigrazione, perché s’immaginano di trovare nella massa degli immigrati una sorta di “proletariato di ricambio”. E’ una delle varie incongruenze»
Per il momento, nessuno sa veramente come arrivarci, ma questo sistema affonderà, non abbattuto dai suoi avversari, quanto piuttosto sotto l’effetto delle proprie contraddizioni interne.
Oggi, del resto, le sovranità popolari si trovano soverchiate e il potere decisionale è passato nelle mani dei tecnocrati e dei banchieri.
Per un vero cambiamento oggi bisogna, però, operare anche su una rivoluzione interiore dell’essere umano perché capitalismo e consumismo sfrenato non sono solo prerogative della finanza, ma anche dell’uomo, si tratta infatti di rompere non solo col produttivismo, ma anche con l’utilitarismo, lo spirito calcolatore, con l’idea che tutti i valori possono e devono essere ridotti al solo valore di scambio. In altre parole, si tratta di uscire da un mondo dove niente ha più valore, ma dove tutto ha un prezzo.
Sostengo da anni anche ciò che Alain de Benoist descrive chiaramente in questo pensiero:
“L’azione locale, che sia di ordine politico (gioco della democrazia diretta, per rimediare alla mancanza di legame sociale) o economico (rilocalizzazione della produzione e del consumo) può aiutare le comunità viventi a riconquistare la loro autonomia, cioè a dotarsi dei mezzi che permettano loro, conformemente al principio di sussidiarierà (o di competenze sufficienti) di rispondere da sole ai problemi che le riguardano”.

Giorgio Bargna

Riconversione localista

Chi amministra un ente locale spesso si ritrova in difficoltà quando cercando di adempiere ad un proprio compito cerca soluzioni di rilancio economico e produttivo. La cosa vista con  superficialità appare spesso arida di soluzioni, ma esistono visioni più profonde e coraggiose.
Possiamo pesare la ricchezza della comunita', se la vogliamo intendere veramente per tale, anche tramite la capacità di autoprodurre quanto poi viene acquistato ed usufruito sul territorio, sia come servizi, che come consumo generico.
Possiamo su questo tema aiutare sia chi produce che chi consuma; ad esempio l’acquisto consociativo di cibo e beni essenziali si traduce in risparmio.
La  creazione di una rete di produzione locale efficiente e che porti realmente ad un servizio valido, ad un abbattimento dei costi ed una certa sostenibilità consente di proporre di investimenti localmente.
Cittadini ed imprese spesso e volentieri investono i propri risparmi o gli utili in titoli di stato o in svariati fondi di investimento; occorre invece dirottarli verso un investimento locale, economicamente anche più sicuro e controllabile.

Aldilà dell’investimento su un edilizia cooperativa e solidale i nostri amministratori possono puntare anche verso lo sviluppo di una rete di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che renda autosufficiente il territorio.
Potrebbero (in parte, in realtà, in alcuni casi, si fa già) investire e far investire aziende e consumatori indicando la via di un perfezionamento energetico degli edifici tramite azioni quali l’ isolamento dei tetti, tripli vetri, muri
coibentati.

Non va sottovalutato neppure l’aspetto monetario locale. Se ben intesa e sviluppata la moneta locale crea un meccanismo di doppio prezzo, spendendo denaro locale (che viene così reinserito in circolo) hai uno sconto sulle merci. Se ben intesa la moneta locale significa anche ciò che molti definiscono  “banche del tempo” (per me si tratta essenzialmente di baratto). Questo meccanismo crea economia e moneta virtuale, col tuo lavoro prestato acquisti un servizio, un interscambio di servizi ben veicolato consente di maturare il servizio acquisito  tramite una terza persona, che poi si rivolgerà ad una quarta e via proseguendo … in tempi di vacche magre non è male, e forse un tempo funzionava così automaticamente.

In questi momenti di crisi economica il nostro amministratore deve avere la lungimiranza di intervenire su quello che gli è concesso. Se magari non può permettersi di modificare un economia globale in toto, cerca di viverne ai margini e creare contromosse.

Giorgio Bargna

Mai più vittime del sistema

Molto spesso mi capita di sentire parlare amici, conoscenti o perfetti sconosciuti di politica, economia o altri argomenti riguardanti la vita comune o sociale che dir si voglia.
Per la maggiore vanno frasi del tipo:“il sistema decide le nostre sorti e noi non possiamo farci niente”,  “siamo vittime del sistema”, “tanto fanno sempre quello che vogliono”.
Ad ascoltare queste voci sembra quasi che il famoso “sistema” sia qualcosa di inalterabile dall’intervento dei più, un “oggetto misterioso” impalpabile, non tangibile e irraggiungibile ad un “comune mortale”.
Sfugge evidentemente un piccolo particolare, il “sistema” vive di noi, noi gli forniamo ciò che gli serve per sopravvivere, anzi, quel senso di rassegnazione, che per qualche motivo vive in noi, fa si che evitiamo accuratamente che esso collassi.
Il “sistema” è un po’ come la natura, composto da migliaia di elementi, ognuno recita il proprio ruolo, ognuno agisce e la conseguenza delle azioni muta o lascia stabile il corso della natura. La vita quotidiana, le azioni, le scelte di cibo, indumenti, media, mezzi di trasporto, già ci consentono di essere parte integrante e propellente dell’ingranaggio; non siamo succubi del “sistema”, siamo il sistema, noi, consapevolmente o inconsapevolmente che sia, lo veicoliamo.
Ma non dobbiamo pensare che possiamo incidere sull’andamento del “sistema” solo come ingranaggi del motore, noi siamo anche in grado di stabilire, concordare, consigliare la rotta.
Noi non dobbiamo pensare che pochi eletti, che gestiscono la comunicazione e veicolano i pensieri, che producono e distribuiscono il denaro, che spingono ad omologarci e a rinchiuderci nella nostra casa, unico luogo che ci fanno credere sicuro, siano gli unici a poter veicolare il “mezzo”.
Oggi più che mai con l’avvento delle tecnologie, della rete siamo tutti ancor più competenti che in passato, in grado di fornire le nostre esperienze ad altri, vicini a noi o che vivono a centinaia di Km, e viceversa, uno sciame non uniforme che conosce sempre meglio il problema, che diffonde la propria conoscenza e riesce a studiare le soluzioni. L’avere padronanza in varie competenze, la conoscenza di mille e mille cose, ci concede la possibilità di muoverci da esseri autonomi, di conseguenza, liberi, in grado di ponderare delle scelte sapendone le possibili conseguenze.
Forti del nostro essere non dobbiamo avere paura di scendere in campo anche nella pubblica amministrazione e nella politica, possiamo scegliere tra partire “dal basso” tramite liste civiche o colonizzare le sezioni di partiti…non ha importanza questo, l’importante è proporsi e partecipare, proporre e decidere, perché, da uomini liberi ed autonomi, del sistema noi siamo la guida ed il motore, non le vittime.
Giorgio Bargna