venerdì 17 gennaio 2014

L'Italia delle Autonomie Locali

Stiliamo delle ipotesi e delle proposte tese a creare prospettive localistiche migliorative della qualità di vita, in una società decadente ed ormai esasperata.

Proviamo, utilizzando un linguaggio il più lineare e semplice possibile a tracciare una riflessione, nulla di nuovo sotto il sole, nulla di scientifico, qualcosa di dettato dal cuore, magari qualcosa di impreciso ma a mia convinzione vero.

La nostra nazione non è certo famosa al mondo per l’ampiezza delle proprie dimensioni eppure contiene in essa una serie di microcosmi naturalistici ecoculturali e di popolazione; centinaia di oasi naturali ed una moltitudine di sue minoranze etniche, culturali e linguistiche.

Quando mi è possibile visito borghi dalle origini medioevali o comunque antiche, oltre ad apprezzarne la bellezza e la morfologia noto che sono fonte attrattiva per molti stranieri, una vera macchina turistica mal gestita e mal interpretata ogni giorno a rischio di estinzione.

Non è la prima volta che lo scrivo, l’Italia non ha un vero e proprio fondamento storico, esiste in realtà solo sulla cartina geografica. La non proprio spontanea Unità d’Italia raccolse una serie variegata di territori contraddistinti da una quantità incalcolabile di lingue,dialetti e costumi sociali talmente variegati che lo stato accentratore impose una lingua per far comunicare tra loro varie popolazioni che neppure si capivano tra loro.

Chi ha gestito questa nazione attraverso tre secoli ha sempre cercato di abortire il "senso dello stato" e  di marcare i toni della privatizzazione e del business a favore di pochi intimi, ha sempre cercato di favorire l’esistenza di una classe politica elitaria composta da nobili, notabili e professionisti, ha sempre cercato di accentuare le poche negatività presenti nel localismo. La storia ha prodotto però alcuni difetti condivisi su tutto il territorio che denotano la sostanza di un popolo troppo individualista, immaturo ed irresponsabile incapace di poter gestire il bene comune, ma abile a curare il proprio interesse.

Chi ha gestito questa nazione ha ereditato ai tempi (ed è normale fosse così) una popolazione (da nord a sud, da est ad ovest) quasi interamente analfabeta in senso vero e proprio del termine riuscendo poi a far sopravvivere un analfabetismo "di ritorno" che si quantifica con una popolazione in gran parte non avvezza a leggere, studiare, analizzare, documentarsi, quindi carente di una cultura che permetta valutare le proposte politiche e demistificare le menzogne e di valutare la parzialità dei messaggi provenienti dai media informativi.

E’ maturata una situazione socio-politica molto particolare, l’opinione pubblica costituta da quella parte della popolazione ancora in grado di pensare autonomamente ormai è satura, l'esasperazione verso questo sistema politico basato sula partitocrazia clientelare e l’oligarchia ha raggiunto ormai livelli intollerabili; temo purtroppo, mio malgrado, che si deriverà inevitabilmente verso conflitti sociali non negoziabili, che si rafforzeranno l'individualismo e l'immoralità, e che aumenterà l'ingovernabilità del Paese, i cui segnali precursori sono evidenti da tempo.

Coloro che sono parte interessata nella partitocrazia parassitaria, che in questi decenni ha  occupato tutti centri nervosi del potere politico ed economico della penisola, arrecando danni incalcolabili causa la loro stoltezza e sfrontatezza, ovviamente non hanno  alcuna intenzione di rinnovarsi adeguandosi alle istanze provenienti dalla società civile, perché costerebbe loro rinunciare ai propri privilegi ed al proprio potere.

I tempi di implosione della casta sono ormai innescati, a noi l’onere morale di accelerarli e nei dettami della storia localistica abbiamo la possibilità di raccogliere elementi, condizioni e spunti che possano essere rielaborati ed adattati quali soluzioni di svolta e futuro sostenibile. 

Uno spunto di rilievo è il fenomeno storico medievale dei "comuni e delle signorie cittadine”, fenomeni in cui spiccarono esempi che si conservarono a lungo, per secoli, e non a caso, grazie alle loro forti identità comunitarie ed alle loro omogeneità territoriali. Malgrado il ferro e fuoco scagliato sui nostri territori da molte potenze europee essi resistettero a lungo nelle forme che permisero l’esistenza di spazi intrisi di libertà e di autonomia. Alcuni di questi territori rimasero in qualche modo integri ed autonomi fino alle conquiste napoleoniche ed anche fino all'Unità d'Italia. Variarono magari le dinastie regnanti, ma rimasero forti nelle loro identità storico culturali. Andrebbero riprese dunque,quale modello di riferimento politico istituzionale, la dimensione e possibilmente la storia identitaria  di questi spunti.

Anche volgendo l’occhio all’esterno dei confini troviamo esempi di buona gestione dei territori in nazioni di stampo localista; senza indugi, seppur anch’essa certamente non vergine dai peccati, la Svizzera spicca in cima. Non sto qui ad elencare i pregi amministrativi di questa Nazione (li potete trovare sui motori di ricerca senza fatica), ma è certo che il senso dello Stato sia al primo posto nei sentimenti di tutti i politici e di tutti i cittadini; tutt’altro che il senso civico nostrano privo del senso del pudore, della misura, della dignità, e di mille altri valori. Si tratta di un modello di riferimento suddiviso in Cantoni che mantengono un'ampia sovranità, delegando al governo federale solo alcune funzioni, governo per altro composto da poche persone e tenute sotto stretta osservazione dagli elettori e che applicano tra di loro la rotazione dell'incarico di Presidente.

Un modello referendario dove prevalgono le istanze della società civile, un modello da programmare ed attuare, a cui si può giungere solo attraverso una riforma netta del “modo di far politica”, per tramite soprattutto di proposte ed azioni che solo liste civiche, movimenti ed associazioni potranno essere in grado di sviluppare e concretizzare e che porterebbe alla riduzione drastica delle poltrone, dei privilegi e delle rendite da posizione.

Nell’attuale situazione praticamente nessuna provincia o regione corrisponde a quanto sussisteva storicamente e culturalmente quale identità omogenea sociopolitica, si tratta semplicemente di tratti di matita su una cartina geografica, suddivisioni politiche atte ad accontentare qualche potente politico, a favorire feudi elettorali ed interessi economici particolari e partitocratici, significati che hanno portato ad una situazione di ingovernabilità diffusa e sempre più grave, ad una grave disaffezione ed un profondo distacco tra la cittadinanza e la politica.

Viene dunque chiara la necessita di rielaborare radicalmente la politica territoriale, attraverso aggregazioni territoriali liberamente concepite dalle popolazioni stesse, che potrebbero assumere una connotazione simile a quella dei Cantoni, come in Svizzera, dotati di ampia autonomia, per sfociare appunto in una Confederazione. Una riposizione e rielaborazione in chiave moderna e con tutti gli adattamenti del caso dei fenomeni storici qui sopra elencati, non calata dall'alto e studiata a tavolino ma elaborata dalla società civile, in maniera condivisa e partecipata e con il ricorso all'istituto referendario per confermare le scelte effettuate.

La base di tutto sicuramente deve risiedere nei Municipi ed in una loro possibilità di consorziarsi, confederarsi in aree territoriali omogenee oppure in consorzi di sviluppo economico locale. A sostenere questo mio pensiero la visione dell’esistenza di diffuse espressioni autonomiste ed identitarie della società civile locale, dotate di un notevole consenso latente che sono un segnale inequivocabile di un forte desiderio di libertà, di volersi liberare dal parassitismo e dalla corruzione soffocante, pervenendo a nuove aggregazioni politiche di piccole dimensioni, meglio governabili e controllabili, dove un sano individualismo creativo, tramite l'applicazione della democrazia diretta e partecipata, può dare più facilmente il suo contributo al benessere generale, migliorando la qualità della vita dei suoi abitanti.

In questo periodo di crisi finanziaria ed economica, che è figlio dell'attuale sistema dominante, si rende indispensabile rivedere totalmente le basi strutturali su cui fondare la società (che deve essere sostenuta da chi crea vera ricchezza con le proprie idee ed il proprio lavoro, con i propri risparmi ed investimenti, e non su chi ne abusa autoritariamente, appropriandosene parassitariamente) salvo suicidarsi in forma eutanasistica.

Giorgio Bargna



martedì 14 gennaio 2014

I principi del Federalismo

Se volessimo illustrare i principi fondamentali del Federalismo per spianarci la strada credo proprio dovremmo innanzitutto relazionare l’esatto contrario del Federalismo stesso cioè la forma più intensa della concezione di Stato moderno, ossia lo Stato-nazione.
Questa concezione bestiale tende, attraverso l’azione di un potere centrale, che si definisce unico rappresentante dei cittadini, a far convergere meticolosamente, appiattendole su se stesse, l’unità politica e l’unità culturale, linguistica o etnica su un'unica posizione.

Il tempo ha donato molti significati alla Sovranità Centrale. Nel passato remoto rappresentava solamente la più alta autorità, quella depositaria dell’ultima estrema decisione, in un era più moderna rappresenta la possibilità del Sovrano di imperare.
Il Sovrano oggi finge di dimenticarsi di essere un delegato, si arroga anche tutte le decisioni dei corpi intermedi; i gruppi sociali sono solo sudditi, possibilmente da spennare.
Il nostro Sovrano, infatti, non solo  non rispetta le regole del contratto, ma si arroga anche un’obbedienza totale da parte dei sudditi.

Passa il concetto cardine che accorpa nazionalità e cittadinanza, non c’è più un membro della nazione che non sia cittadino, né cittadino che non sia membro della nazione, il popolo riconosciuto è solo quello “nazionale” e null’altro è immaginabile.
La rappresentanza unica che fa capo alla nazione politica esclude leggi particolari che si applicano ad un gruppo ben definito e limitato, esistono solo leggi ad ampio raggio da applicare uniformemente ad ogni individuo al di la di ogni specificità, la Patria non si identifica più con il popolo o con la società, ma con lo Stato.

Il Sovrano odierno annienta lingua, cultura, credenza, sesso; omologa, assimila, senza pietà: quanto differenzia, identifica viene limitato alla sfera privata.
Chi è minoranza non ha diritto di riconoscimento, sostanzialmente diventa un oppresso.

Nel Federalismo i concetti si ribaltano, i suoi fondamenti si identificano nel principio di sussidiarietà, nella ripartizione della sovranità, nella democrazia diretta, nel riconoscimento dei corpi intermedi, delle identità collettive e delle comunità.
Il federalismo è il sistema laddove il governo centrale condivide le differenti competenze costituzionali e legislative con le collettività sulle quali ha autorità, facendo in modo che tali competenze si esercitino al livello più basso possibile.
Il Federalismo implica autonomia, partecipazione, responsabilità e sussidiarietà, mutua solidarietà e reciprocità.

Nel Federalismo la società ha il primato sui membri, si costituisce tramite una serie di patti
politici e sociali conclusi successivamente, risalendo dalla base, da parte di
una infinità di associazioni autonome, naturali ed istituzionali, pubbliche e private: famiglie e dinastie, comunità civili, città e province.
Il cittadino contratta, ma non come individuo ma come membro di una comunità già esistente che non abbandona mai la totalità dei suoi diritti a beneficio di una società più vasta. La Sovranità appartiene al popolo, e non smette mai di appartenergli, il popolo può
delegarla, ma non può rinunciarvi. Il Federalismo è la dottrina che più è in grado di tradurre in fatti concreti l’idea di una sovranità strettamente associata ai principi di autonomia e di sussidiarietà; le decisioni vengano sempre prese al livello più basso possibile, da parte di coloro che ne subiscono più direttamente le conseguenze.

Non si tratta di volgare decentramento che rappresenta comunque parte di una piramide,
nel caso della sussidiarietà avviene il movimento opposto: il livello locale non delega ai gradini superiori che le responsabilità de i compiti di cui non può farsi carico esso stesso, non rinuncia che alle competenze che non può assumersi, mentre risolve con i suoi propri mezzi tutti i problemi che sono effettivamente di sua competenza, assumendosi lui stesso le conseguenze delle sue decisioni e delle sue scelte. La gente decide il più possibile da sola riguardo a ciò che la riguarda creando un sistema politico e sociale in cui i problemi possano essere risolti al livello più basso possibile grazie anche ad un’idea di una democrazia partecipativa che si oppone all’idea di una democrazia puramente parlamentare e rappresentativa.

Oggi la disaffezione sempre maggiore dell’elettorato per i partiti politici di tipo classico, la rinascita della vita associativa, la comparsa l’emergere di nuovi movimenti sociali o politici
(ecologisti, regionalisti, identitari) la cui caratteristica comune è non più la difesa di interessi contrattabili ma di valori esistenziali, lasciano intravedere la possibilità di ricreare una cittadinanza attiva a partire dalla base.

Il controllo del potere non può essere appannaggio dei soli partiti politici la cui attività si risolve troppo spesso nel clientelismo. La democrazia partecipativa non può essere oggi che una democrazia di base. Tale democrazia di base non ha lo scopo di generalizzare la discussione a tutti i livelli, ma ha piuttosto lo scopo di determinare, con il concorso del più gran numero, nuove procedure decisionali conformi sia alle sue proprie esigenze,
sia a quelle che provengono dalle aspirazioni dei cittadini.

Il principio politico della democrazia non è quello secondo cui la maggioranza decide, ma quello che vuole che il popolo sia sovrano.

Faccio dunque mia un impressione di Alain de Benoist: I fondamenti essenziali del federalismo mi sembrano essere dunque questi: una società in cui la libertà e la responsabilità, strettamente legate l’una all’altra, sono ripartite a tutti i livelli in funzione del principio di sussidiarietà; una concezione della sovranità non come potere assoluto e competente su tutto, ma come istituto che ha autorità sulle materie più vaste solamente in ultima istanza; e infine, una concezione della democrazia che riposa in origine non sulla nozione di numero o su quella di delibera parlamentare, bensì su quella di partecipazione più ampia possibile di tutti i cittadini alla cosa pubblica.


Grazie per l’attenzione, Giorgio Bargna

domenica 12 gennaio 2014

Federalismo Municipale, l'unico futuro plausibile

Quanto trattiamo in questo articolo altro non è che un punto di vista, un approccio, uno sguardo sul modo di affrontare il tema dell’autogoverno, del rapporto partecipazione / progettualità sociale e governo anticentralista proprio del municipalismo e del federalismo municipale. Valutiamo la prospettiva del federalismo municipale, in particolare per il suo significato strategico nella possibilità di governare dal basso il paese nella  geografia politica e sociale delle regioni, delle province e soprattutto dei comuni e delle loro reti.

Innanzitutto il programma di governo non deve, non può, essere prodotto da un istituzione centralizzata, in un luogo “extraterritoriale”. Il cantiere, dichiariamolo “diffuso”, tendenzialmente, anzi praticamente, esiste già nei territori, nella relazione tra istituzioni locali e società civile ed il programma è vivente, incarnato dai cittadini, dalle istituzioni locali, sperimentato già in percorsi partecipativi ed istituzionali di base, nell’autogoverno dal basso.

Prove, esperienze vive, di possibile governo dal basso, nei territori, si sono materializzate, anche se non in numero mastodontico, proprio negli anni che volevano incarnarsi nel “federalismo della devolution”, del potere dei governatori accompagnato dal “premierato forte”, disegno  della destra italiana, in realtà profondamente neocentralista, statalista e autoritario.
Si trattava esattamente dell’antitesi dell’ ipotesi di un autogoverno locale composto in reti di scala più ampia e di cooperazione solidale tra aree regionali ed interlocali nel paese.
Non ci si può che votare ad una opzione di autogoverno che è espressa in modo rigoroso nel federalismo a base municipale, che è nel “dna” delle nostra storia.

La contrapposizione centralista ad una opzione localista la si evince sia dalla sistematica azione di demolizione delle autonomie comunali che il governo centrale mette in atto, sia per la sottrazione di risorse che per l’erosione dello spazio di gestione del territorio e di servizi in relazione diretta con la società.
Ed i comuni sono nel cuore dell’attacco.

In una nazione dove, di fatto, il federalismo non è praticabile per legislazione occorre crearsi il federalismo attraverso le linee guida di un municipalismo cooperativo tra amministrazioni comunali non suddite di enti maggiori ma intese anzi quali azioni e strumenti di cooperazione e co-pianificazione inserite in una catena di reti interlocali ed arricchite da una relazione partecipativa con le società insediate: il federalismo municipale, l’autogoverno locale, che viaggia di pari passo con il tema del welfare “municipale” e della difesa e valorizzazione dei beni pubblici (che ne sono una delle espressioni fondamentali).

Di contro, lo abbiamo appena detto, l’autoritarismo neo-liberista del governo centrale si attiva quotidianamente nel tentativo di distruggere l’autonomia comunale proprio per costruire la base della privatizzazione dei beni pubblici e della aziendalizzazione e commercializzazione dei servizi.
Si sono intesi, in questi anni, i servizi da offrire ai cittadini/contribuenti quale mercato dove inserire i propri amici, spesso su vasta scala, anche regionale, mentre i comuni e le loro reti territoriali venivano spesso espropriati delle possibilità gestionali, decisionali; in sostanza declassati a “passacarte burocratici”, privati di capacità di mediazione, programmazione, progettazione. Il mercato trionfa ed il servizio è selettivo e costosissimo.

Se intendiamo riaffermare il carattere pubblico di beni e servizi e della loro effettiva fruizione sociale quale bene comune appare sempre più chiaro che vi è una sola basilare garanzia e si tratta della fondazione della disponibilità dei beni e dei servizi nello spazio pubblico, della relazione tra istituzione di base e società insediata, ove la relazione non è mercantile ma fondata sulla cittadinanza, Chi fruisce un servizio e un bene condiviso non è un cliente ma un cittadino ed un abitante, che assume corresponsabilità appunto nello spazio pubblico, civile.

Occorre rivitalizzare, fondare in toto forse, una gestione “civico/municipale” del ruolo di progettazione, definizione e gestione del servizio e della valorizzazione dei beni comuni.
Il municipio ha l’obbligo di essere  in campo, così come le reti di municipi, verso una incidenza nelle politiche strategiche di welfare di area vasta (supportate dal ruolo di provincia e regione), ma sempre a partire dalla relazione locale società / istituzione.
Si può inoltre sostenere che welfare municipale e produzione pubblica di servizi non possono non avere fondamento su un controllo, o meglio, una “sovranità” sui beni pubblici (aria, acqua, cicli delle materie prime e seconde e dell’energia) e sul bene pubblico primario che li comprende, il territorio.

Con l’attorcigliamento su se stesso del sistema capitalistico (che va detto in onor del vero, qualche anno di serenità lo ha donato) si manifesta sempre più pressante negli ultimi anni quella crisi economica (micidiale) che ha radici ormai decennali.
Come già scritto nel recentemente occorre trovare una via assolutamente alternativa, antitetica.
La sovranità e la responsabilità di territorio sono il fondamento della possibilità di un “altro sviluppo”, che produca un riattivazione del ciclo di riproduzione del valore territoriale.
L’autogoverno in rete (il federalismo municipale) si esprime infatti, strutturalmente,nella attivazione del patrimonio locale, dei caratteri distintivi propri dei territori e delle società insediate e propone la formazione di ricchezza durevole che esprime le “chance” dei territori, differenziati, fondata sui capitali sociali e sulle qualità proprie dei luoghi, su risorse locali.
La responsabilità di territorio si esprime prima di tutto evitando processi di espropriazione e di svendita di suolo e contestualmente attivando economie di valorizziamone del patrimonio territoriale.
Le diverse vie alla trasformazione qualitativa sono la base dell’autogoverno e della sovranità e le reti (inter)locali sono il terreno fertile  di “scambio equo tra associati.

Nel manifestarsi della crisi dello sviluppo industriale e della produzione quantitativa e omologata appare sempre più chiaro che il futuro delle economie si può concretizzare solo attraverso la produzione di qualità differenziata nei diversi territori e culture, caratterizzata localmente, distinta per luogo di origine.
Potrà essere solo questa la risposta efficace posta di fronte al mercato internazionale invasivo della produzione omologata a basso costo ed a bassa qualità, un opzione che può riprodurre a scala mondiale, una rete di scambio delle diversità e delle qualità differenziate per culture e caratteri locali.


Giorgio Bargna