venerdì 7 febbraio 2014

Il passaggio naturale

Spesso, per convinzione, identifico nella Comunità l’alternativa allo Stato, inteso nel senso “moderno”. Non soppresso, ma modificato, il nuovo (si fa per dire) modello di Stato lascerebbe libero sfogo alla Comunità, un' entità oggi dai più dimenticata e cancellata di fatto dall’individualismo di forma capitalista estrema.
Ritengo un grande pregio della Comunità  quanto i detrattori, spesso, descrivono come limite: una fiducia di prossimità, affidata non più all’ impersonalità di un apparato burocratico ma a consuetudini non scritte, capaci nel corso del tempo di divenire tradizione.  I detrattori sostengono spesso anche che il concetto di Comunità porterebbe alla diffidenza verso tutto ciò che è “progresso” in base a quanto descritto qui sopra, si dimenticano però i signori che sino a poche generazioni fa il mondo era basato essenzialmente sul territorio ristretto, eppure il progresso non si è mai fermato, semmai si alimentava in modo assennato.

E’ indiscutibile che le “Piccole Patrie” siano da sempre un punto di riferimento certo ovunque si creda nell’ autodeterminazione, nel bisogno di libertà dalla burocrazia e di rinnovamento della forma politico/amministrativa. Mia è una certezza: una Regione, un Territorio non possono essere definiti e ritenuti tali se al loro interno non esprimono nemmeno un movimento autonomista, per quanto piccolo esso sia.

Solo la presenza di questo presupposto può costruire qualcosa utilizzando, quale immagine illustrativa, una pianta dall’anima con radici ben piantate nel terreno della storia e tronco slanciato verso il domani.


Tra le idee e le tesi di Gilberto Oneto che condivido vi è quella che afferma che “il vero motore, il luogo di incubazione delle civiltà sono state soprattutto le piccole comunità, le aggregazioni di poche migliaia di individui. I riferimenti fondativi vanno ricercati nel diritto naturale, nella tradizione, e nella consociatio symbiotica che Althusius pone alla base di ogni struttura comunitaria”.
Le Comunità possiamo certamente, e senza paura di sbagliare, descriverle come pacifiche, vivaci, produttive, “libertarie” e valorizzatrici del talento locale.

Le “Piccole Patrie”, proprio perché piccole, portano in se molti vantaggi (tutti slegati dalle “grandi ideologie moderne”), si può partire nella loro descrizione dal risparmio nella gestione degli apparati burocratici, passando attraverso ad una più circoscritta, se non quasi inesistente, conflittualità sociale per approdare ad una quasi inesistente casta politico burocratica. Va aggiunto a tutto questo l’espressione localista  di una specializzazione produttiva peculiare, completamente disgiunta dai mercati esterni, un argine ben saldo a riparo delle esondazioni delle monocolture e delle monoproduzioni tanto care alle multinazionali ed ai loro rappresentanti; il tutto senza voler aggiungere qualcosa che dovrebbe essere ovvio ed invece viene ignorato: la presenza di molteplici piccoli mercati è la protezione assoluta del libero mercato, se inteso nel senso onesto e vero del termine.

Il passaggio a Nazioni di ampie dimensioni ha propagato a dismisura le differenze sociali e di ricchezza, poche aree centrali(ste) si arricchiscono a discapito di zone rese periferiche, sfruttate, ignorate nelle loro necessità  e rese schiave; il principio della globalizzazione ha moltiplicato all’ennesima potenza questo fenomeno anche su Stati e Continenti creando di fatto il “centralismo economico”.

Il vantaggio certo di una compravendita ed una produzione localizzata, l’ho scritto più volte, è il contenimento nei propri confini di molta della ricchezza impiegata, il tutto associato alla re-immissione del valore prodotto sul territorio, oltre che ad evitare il coinvolgimento in una filiera molto ampia in cui la comunità locale viene coinvolta solo nella fase della vendita del prodotto finito. Se applicato onestamente e secondo canoni legittimi questo modus operandi  alimenta un benessere collettivo in diversi settori produttivi , favorendo un sistematico sviluppo  del localismo economico e tutelando la conservazione buona parte dei bisogni della Comunità e gli strumenti materiali e culturali utili a soddisfarli.

Stati e Territori dalle dimensioni sostenibili maturano una maggiore consapevolezza dei propri limiti a livello economico ed anche, in parte, culturale e proprio perché consci di questo automaticamente tendono, si a preservare i propri linguaggi e le proprie tradizioni, ma anche, ad assimilare linguaggi esterni, il che consente di relazionarsi con altri territori e di contrarre una tolleranza verso la diversità che può svilupparsi solo grazie all’abitudine del confronto tra gli uni e gli altri. Questa consapevolezza porta automaticamente ad una posizione in cui si tende si a tutelare la propria identità, ma anche ricercare una congrua integrazione; da questo status prende avvio quel percorso che pur salvaguardando le piccole e proprie peculiarità aggrega. Un percorso, un obbiettivo che si materializza con un termine specifico: Federalismo.

Sulla base di quanto descritto, sulla sempre più elevata voglia di rifondamento da parte di cittadini e territori e della vetustà dell’attuale assetto geopolitico è ipotizzabile che negli anni a venire osserveremo una nuova cartina geografica europea (e forse non solo) nella quale spiccheranno nuove forme istituzionali di Nazione nate dalla progressiva voglia di aggregazione di piccoli territori in forma federale. 

Affermava qualche mese fa Marco Bassani: “La nuova Europa che si profila all’orizzonte non deve suscitare timori di sorta: non avremo conflitti, né scontri. Con ogni probabilità, tutto avverrà attraverso un voto e una serie di negoziati: prendendo a modello quell’accordo tra Cameron e Salmond che ha fissato, sempre per il 2014, il referendum sull’indipendenza scozzese. Non è un caso che il primo ministro britannico, proprio mentre apre negoziati con le comunità storiche, si appresta a chiedere agli inglesi se vogliono continuare a far parte di quel cartello mummificato di Stati nazionali ottocenteschi chiamato Unione europea”.

Condivido in toto questo pensiero che non ritengo essere una speranza ma bensì una certezza.


Giorgio Bargna

martedì 4 febbraio 2014

Abbecedario federalista

Spesso è capitato e  capita in questo paese, su questo tema, di leggere pareri ed interpretazioni veramente dalle formalità ridicole. Sarò anche presuntuoso ed arbitrario, ma permetto di mettere giù una sorta di “ABC del Federalismo”  per mettere su carta (ancora una volta) il mio pensiero federalista.

In questo paese da qualche decennio non sono mai mancate, e probabilmente non mancheranno nemmeno in futuro, le pantomime federaliste, ivi compresa la legge che regola i rapporti tra stato ed enti locali. Il Federalismo parte invece da un concetto chiaro ed inalienabile: il potere amministrativo è competenza del governo locale e quello decisionale è dei suoi cittadini. Un sogno ancora lontano in una nazione laddove Roma decide come, quando e quanto gli Enti Locali si possono autogovernare, e in ogni momento Roma può cambiare idea. 

Deve risultare chiaro un concetto basilare: il potere fluisce dai Governi Locali alla Federazione, non certo viceversa. Tra i Federalisti esistono molte correnti di pensiero, ma che si tratti di Municipi, Aree Territoriali Omogenee o Regioni il concetto base è uno solo: il Soggetto Locale deve avere la più ampia libertà di formare entità federate in grado di autogovernarsi.

Indiscutibile punto di partenza è il concetto che è lo Stato ad essere servitore del Cittadino e non viceversa, in tal senso mi piace spesso citare una frase di De Gasperi: “Si parla sempre di diritti dello Stato come fossero sovrani e superiori a qualunque altro diritto mentre la verità è che prima viene l’uomo e poi lo Stato”.
Grazie al Federalismo gli Autogoverni Locali (quindi Cittadini ed Istituzioni) sono in grado di non doversi inginocchiare (prassi nazionale attuale acquisita e consolidata) in attesa di questua calata dall’alto. Secondo i principi federalisti infatti il Tesoro maturato da imposte e tasse non sono proprietà dello Stato Centrale (punto cardine del Centralismo) ma degli enti territoriali che ne trasferiscono una parte allo Stato per assicurare i suoi i servizi: esercito, presidenza della Repubblica federale, Parlamento, Corte Costituzionale,  polizia federale, relazioni con l’estero, e i pochissimi altri compiti di coordinamento della Federazione.

Questo Filtro Fiscale consente ai Cittadini di avere molta più consapevolezza sul lavoro svolto da chi li governa, il che li rende più rispettati e tutelati, con correttivi di Democrazia Diretta e Partecipativa, poi, i Cittadini possono anche essere, pur con dei limiti, anche Sovrani attivi e decisivi. Sicuramente il trattenimento alla fonte dei gettiti fiscali consente ai Contribuenti di essere molto più consapevoli dell’utilizzo fatto del loro denaro.

Altro pregio essenziale del Federalismo è l’abbattimento del monopolio dello Stato sui servizi sociali, quali possono essere il servizio scolastico, quello sanitario o il sistema pensionistico, il che permette senza dubbio un servizio di pregio ad un costo infinitamente più basso; questo non accade certo per un colpo di bacchetta magica, ma grazie al principio della concorrenza, immaginate per assurdo Aree in grado di produrre un servizio pensionistico concorrenziale che vendono questo servizio ad altre zone dello Stato.

Questo principio competitivo è la base di una vera riforma federale, un involucro di principi cardine fissati alla nascita dello Stato Federale, poi Territori che gestiscono l’operatività dei compiti dovuti alle istituzioni.

Come dicevamo qualche paragrafo sopra, gli Autogoverni Locali cedono una parte minima della propria tassazione alle finanze centrali, le quali con questa quota si pagano i pochi essenziali servizi forniti ai cittadini e garantiscono un fondo perequativo in aiuto, e mai in assistenza perenne, alle Aree in difficoltà, i calcoli dovranno essere sempre effettuati sulla base del “potere d’acquisto” ed aggiustati con le stime dell’ evasione fiscale e contributiva. Le quote erariali rimaste sul territorio, oltre che ad essere stabilite in quantità, saranno gestite dagli Autogoverni che decideranno come e dove spenderle, se spenderle. 
Nulla vieterà, vista la vicinanza tra Istituzioni e privati, che questi ultimi vengano coinvolti nell’esercizio delle funzioni istituzionali; il tutto assoggettato, ovviamente alla trasparenza e all’accountability, termine non traducibile in italiano, perché da noi mancano completamente la cultura della “resa di conto” ed il senso civico, se non la civiltà vera e propria.

Cito, su questo principio una frase esaustiva, tratta dal WEB (non ricordo purtroppo la fonte): “La trasparenza dovrà essere uno dei principi cardini della Costituzione Federale, al punto che questo è uno dei pochissimi punti per i quali non si può dire che “ogni ente federato si organizza come vuole”. La trasparenza, anche contabile, ed il suo controllo da parte di professionisti indipendenti, dovrà essere  un vero e proprio vincolo, un obbligo assoluto per tutti gli enti federati”.

Alcuni leggendo queste parole potrebbe pensare che come Jules Verne io stia scrivendo di fantascienza, invece il 90% di quanto scritto è vivibile quotidianamente a 22 km da casa mia, nella Confederazione Elvetica. Geograficamente parlando la Svizzera ha una densità circa del doppio della Lombardia ed una cittadinanza più o meno eguale, col 22% di stranieri presenti sul territorio. Quest’ultimo dato, spacciato in Italia come rilevante per le cause di delinquenza comune, in Svizzera non trova la stessa illustrazione, nella Confederazione si vive nella norma, senza grossi problemi di integrazione (anche se va detto che una naturale xenofobia dilagò anche in terra elvetica anni fa) e con un controllo della sicurezza delegato agli autogoverni locali.

La popolazione elvetica è da considerare sufficientemente priva di problemi economici, occupazionali, previdenziali e istruttivi; il che non dipende certo dal DNA (ripeto che l’aria del Ticino si respira dalle mie parti), nemmeno dalla civiltà, evidentemente, ma dalla migliore organizzazione istituzionale e materiale … noi viviamo di una cultura centralista, fatta di lontananza dal cittadino, in quella nazione vige, inossidabile da secoli, il Federalismo. 
Date un occhiata alla Costituzione Elvetica ed al modo in cui viene interpretata e capirete il tutto; i nostri capo cultura si sforzano di pubblicizzare la nostra italianità come forza storica ed unitaria, ma poi in realtà non sappiamo nemmeno tanto bene cosa successe quel 17 marzo tanto famoso, loro invece sono un fortunato paese laddove ogni singolo Cantone ha competenze irrevocabili perfino nel campo della giustizia e in quello fiscale; eppure ogni 100 metri sventola  una bandiera rossocrociata. Dunque, il federalismo non divide, come dicono i signori della Casta preoccupati solo di non modificare la mappa del potere e di tutelare i loro privilegi, ma unisce.”

Giorgio Bargna


L'obbligo di impegnarsi

La storia, l’esperienza,  ci insegnano che tanto le democrazie che gli autoritarismi sono caratterizzati da un dato di fatto certo e sicuro: uno o più partiti occupano le stanze dei palazzi.

L’autoritarismo sicuramente non lo consente, ma la democrazia permette di illudersi su un concetto, quello che porta a pensare che chi occupa i palazzi possa essere sfrattato tramite elezione politica.

Credo non esista un’ingenuità più grande, ogni partito, che non fa parte del pensiero emergente antisistemico, non farà mai la guerra totale ad un altro suo simile, tutt’altro semmai.

I “Manuali Cencelli”, le nomine in commissioni parlamentari o comunali, le nomine di presenza in aziende nazionali o partecipate municipalmente e molte altre spartizioni politico/burocratiche ce lo dimostrano ampiamente.

Impunemente questa casta di burocrati e despoti occupa i centri nevralgici verificando di mantenere certe le proprie convenienze.

Il problema non è comunque soltanto l’occupazione in se stessa, i problemi potrebbero essere, sono, le idee i valori e i principi affermati dai partiti che occupano le “stanze”  ed il livello intellettivo (non che di serietà e capacità pratica) della classe dirigente.

Quanti nel popolo non condividono idee, principi e valori espressi dalla attuale classe dirigente hanno l’obbligo, non morale ma pratico, dell’impegno a costituire altri partiti, movimenti politici che propongano altre idee, valori e principi, del tutto alternativi a quelli che oggi stanno avvelenando il nostro futuro. Le idee di per se stesse però raramente si concretizzano senza l’impegno di tutti, di conseguenza la parte del popolo che non condivide le idee e i valori della classe dirigente attuale ha l’obbligo di impegnarsi anche a partorire il nuovo assetto politico che dovrà modificare il futuro della nostra comunità.

Un semplice dissenso privo di azione non porta a nessun risultato, lamentarsi e protestare con gli amici o i colleghi risultano pratiche sterili, le necessità sono invece quelle della costituzione di partiti che sviluppino e concretizzino nuove ed opposte idee e la generazione di una nuova classe amministrativa e politica.

Il tutto dovrà aver modo di svilupparsi seguendo un percorso comprendente correttivi democratico diretti i quali consentano il controllo da parte dei cittadini sulle azioni di politici ed amministratori  ed impediscano di fatto la nascita di una nuova casta.

Occorre metterci la faccia ed il cuore, la grinta e la passione, la determinazione ed il coraggio; occorre far passare questo messaggio e questa convinzione a tutti, se il popolo non fosse in grado di creare una nuova ed eccellente categoria di amministratori e di ideologi (oltre ad un nuovo ed efficace assetto amministrativo) sarà condannato al ruolo di schiavo e vivrà oppresso in una civiltà decadente.

Stiamo parlando di un assetto statale che si ritrovi con un potere minimo e limitato a poche competenze. Stiamo parlando di uno stato dove la Sovranità trova quale titolare il Cittadino.

Stiamo parlando di Poteri Legislativi nelle mani dei Cittadini, di Referendum ed Iniziative Popolari, di primato delle Comunità Locali su uno Stato comunque Federativo (a mio avviso si dovrebbe trattare di Federalismo Municipale), di Autogoverno.

Non perdete ulteriore tempo, iscrivetevi immediatamente ad un movimento politico alternativo oppure fondatene voi di sana pianta uno nuovo in intesa con dei conoscenti. Siate voi, siamo noi, coloro che costruiscono il vostro, il nostro, nuovo e migliore futuro.

Giorgio Bargna