giovedì 13 febbraio 2014

Il voto svizzero

Recentemente in Svizzera è passato con il 50,3% dei sì la stretta sulle quote di immigrazione. In sostanza la Svizzera si sgancia dalla programmazione europea dei flussi e da oggi in poi deciderà in base alle convenienze economiche. Sui risultati ha certamente pesato il voto ticinese (il 68%. di si) che nella pancia sicuramente si ritrova il flusso dei frontalieri e delle aziende di matrice estera che nell’economia svizzera, più libera ed efficace, hanno cercato un naturale sfogo.

Stando a dei dati di circa un anno fa si contavano nel territorio elvetico (il 23% dei residenti è ormai straniero) 1.846.500 stranieri domiciliati , inoltre la Svizzera ed il suo benessere economico attirano inoltre molti frontalieri dai Paesi confinanti ed in particolare da Germania (56.920), la Francia (145mila) e l'Italia, oltre 65mila quasi tutti in Ticino. La manodopera straniera e' considerata un elemento importante del mercato del lavoro svizzero ed i lavoratori stranieri svolgono un ruolo importante nel settore secondario, dove rappresentano il 37% degli attivi occupati (2011) contro il 26% nel terziario (dati tratti dalla rete).

Guardiamo un attimo il testo approvato:

- "La Svizzera gestisce autonomamente l'immigrazione degli stranieri. Il numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera è limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali. I tetti massimi valgono per tutti i permessi rilasciati in virtù del diritto degli stranieri, settore dell'asilo incluso. Il diritto al soggiorno duraturo, al ricongiungimento familiare e alle prestazioni sociali può essere limitato".

- "I tetti massimi annuali e i contingenti annuali per gli stranieri che esercitano un'attività lucrativa devono essere stabiliti in funzione degli interessi globali dell'economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli Svizzeri; essi devono comprendere anche i frontalieri. Criteri determinanti per il rilascio del permesso di dimora sono in particolare la domanda di un datore di lavoro, la capacità d'integrazione e una base esistenziale sufficiente e autonoma. Non possono essere conclusi trattati internazionali che contraddicono al presente articolo".

- I trattati internazionali che contraddicono all'articolo "devono essere rinegoziati e adeguati entro tre anni dall'accettazione di detto articolo da parte del Popolo e dei Cantoni".

Di certa c’è credo una sola cosa, a chi gestisce l’economia quanto negli anni si è consolidato in Svizzera piace e continuerà a piacere, supportato anche dalle firme europee; al popolo probabilmente piaceva, oggi un po’ meno e gli strumenti partecipativi elvetici lo hanno comunicato, soprattutto nei cantoni di lingua italiana e tedesca, e questo probabilmente metterà in difficoltà chi guida questo paese.

Spesso quando si parla di immigrazione viene messo in campo il razzismo. Ritengo sbagliata questa ipotesi poiché ritengo il razzismo parte dell’aspetto psicologico di una persona, una scelta preconcetta che è innata e che essendo limitata ad un certo numero di individui non sposta le tendenze come in questo caso. Credo si sia trattato invece di scelta “economica” in un momento contraddistinto da una crisi economica e occupazionale internazionale di vaste proporzioni, la cui fine ancora non s’intravede e davanti ad uno scenario simile il referendum in causa ha certamente voluto colpire i transfrontalieri che non sono immigrati qualsiasi. 

Probabilmente il pensiero dello svizzero, anche di quello immigrato, ha ritenuto che un immigrato porta un contributo alla società al contrario di chi alla sera torna a casa (in Francia, Italia o Germania); consideriamo che spesso poi un italiano confinante può accettare uno stipendio di 1500/1800 euro a fronte dei 1000/1200 euro che prenderebbe in Italia…non conosco le cifre ma sono certo che un lavoratore svizzero venga pagato almeno 3.000 euro (e magari fiscalmente costa qualcosa in più). Davanti a questo si può capire la scelta di svizzeri naturali e residenti ed il messaggio lanciato ai governatori svizzeri e sicuramente ora per frontalieri e stranieri in cerca di cittadinanza sarà terreno minato.

Che gli svizzeri non scherzino sul lavoro lo si evince dal fatto che negli ultimi anni abbiano votato altri due referendum sui salari sia di azienda privata (a memoria vinsero i no)  che pubblica e li mi pare vinsero i si; a prescindere la democrazia vige ed è consolidata nei secoli alla faccia di che dipinge gli svizzeri trogloditi razzisti senza identità storica e culturale.

A questa disamina, da definire “tecnica”, vorrei aggiungere un pensiero diciamo “ecologico” facendo così rimanere il confronto su temi concreti e reali senza scendere in temi sociologici o razziali, questi magari li discutiamo un’altra volta. Il pensiero non è mio, lo ho tratto dalla rete (non ho salvato il nome dell’autore) ma lo condivido:

Una popolazione di dimensioni stabili è essenziale per proteggere l'ambiente. La politica dell'immigrazione dovrebbe essere basata su un dato di fatto che una popolazione di dimensioni stabili è essenziale se vogliamo evitare un'ulteriore deterioramento del sistema che ci sostiene, il nostro ambiente e le nostre risorse naturali, indipendentemente da quanto risparmiamo in termini di risorse, rimane un fatto fondamentale che un numero sempre maggiore di persone pesa inevitabilmente in modo crescente sul nostro ambiente naturale e sociale. Più gente significa un maggiore impiego di energia, maggiori ingorghi nel traffico, maggiore produzione di rifiuti tossici e una accresciuta tensione che risulta dal vivere in ambienti urbani sovraffollati. Per quanto efficienti possiamo essere nel nostro utilizzare le risorse e per quanto risparmiamo nel tentativo di preservare l'ambiente, più persone significano semplicemente un maggiore stress per l'ecosistema. E il sistema sociale, fenomeni di affollamento esasperato deforestazione, dimostrano ampiamente che ogni persona, per quanto punti alla conservazione, aggiunge un ulteriore carico all'ambiente in cui vive. La considerazione chiave è la capacità di carico del territorio tenetelo presente  per "capacità di carico" s'intende il numero di persone che possono essere mantenute in modo sostenibile da una determinata area senza degradare l'ambiente naturale, sociale, culturale e economico per le generazioni presenti e future. La capacità di carico comprende la capacità dell'ambiente naturale di fornire le risorse, il cibo, l'abbigliamento e il rifugio dei quali abbiamo bisogno, e la capacità dell'ambiente sociale di fornire una qualità della vita ragionevole, questa capacità di carico in Italia è prossima ai limiti ma la politica non ha il coraggio di dirvelo, potrebbero essere scelti molti fattori (ad esempio, l'energia, le foreste, gli inquinanti) per illustrare i limiti che la capacità di carico impone alle dimensioni della popolazione, esaminare un esempio lampante, l'energia, fornisce molto rapidamente la misura dell'importanza e dell'utilità del concetto di capacità di carico, inoltre, non esistono modi economicamente o energeticamente efficienti all'orizzonte per incrementarne la disponibilità.

Giorgio Bargna


lunedì 10 febbraio 2014

Il lavoro

Ne accennavo anche in Ripartiamo dalle città, nella parte finale.

Se ben intesa la moneta locale significa anche ciò che molti definiscono  ‘banche del tempo’ (per me si tratta essenzialmente di baratto). Questo meccanismo crea economia e moneta virtuale, col tuo lavoro prestato acquisti un servizio, un interscambio di servizi ben veicolato consente di maturare il servizio acquisito  tramite una terza persona, che poi si rivolgerà ad una quarta e via proseguendo … in tempi di vacche magre non è male, e forse un tempo funzionava così automaticamente”.

La tendenza che beneficia di un séguito di massa grazie a stampa, radio, TV e parte di  internet ci rassicura con cautela, quotidianamente, se non ad ogni fascia oraria, che alla fine del tunnel si vede la luce e che per raggiungerla occorre continuare a perseguire la strada percorsa negli ultimi anni. Ci vengono somministrate varie ricette di ogni sapore ispirate agli interessi della BCE o del FMI, la politica si modella a questa “scienza” ed il nostro futuro si alimenta ogni giorno di più di incertezza, paura e povertà.

La mutazione genetica dell’economia si è materializzata quando questa si è trasformata in finanza. Se una volta il valore del benessere si basava sul posseduto in proprietà, materie e forza-lavoro dopo la mutazione si è cominciato a pensare che il denaro possa auto-generarsi per solo circolo e rendersi autonomo dalla forza-lavoro e dalla ricchezza che essa produce.

E’ stato ucciso, in questi anni, il lavoro, malgrado che le mani sporche di lavoro profumino di dignità. Forse però anche noi, uomini delle ultime generazioni, abbiamo un po’ perso di vista quale  è il giusto valore da dare al lavoro.
Tutti abbiamo, dobbiamo avere diritto al lavoro, ma forse dobbiamo averlo solo come necessità a garantirci l’essenziale, a sentirci gratificati, a renderci utili…come un diritto alla libertà di lavorare, mettendo le proprie competenze al servizio di noi stessi e degli altri.

Al lavoro però negli ultimi decenni è stato dato, abbiamo dato un significato ben diverso, un significato che ora è stato minato dall’ eccessivo carico fiscale, dalla burocrazia, dalla concorrenza straniera. Abbiamo la possibilità di agire verso la trasformazione del lavoro attraverso questa sua crisi. Possiamo renderlo non più finanziario ma umano, sostenibile, utile al bene proprio, ma anche a quello comune. Possiamo (ne saremo magari costretti) guardarlo per la sua valenza morale e la sua bellezza estetica, pensando meno al reddito e più alla concretezza che un manufatto dona al quotidiano, viverlo più in base allo spirito che non alla ragione.

Torno spesso indietro nella storia a ricercare ragione; noi nella modernità ci basiamo su un’economia innalzata sulle fondamenta del PIL che riconosce come unico lustro il profitto. La storia ci ha mostrato spesso naviganti, artisti, artigiani, letterati, scienziati, inventori che non erano mossi principalmente dal lucro, personaggi che agivano soprattutto per il proprio “sentirsi realizzati” nell’azione intrapresa.

Oggi, lavorando, possiamo, se l’economia ci ha inchiodato ai blocchi di partenza rianimarci seguendo questo principio umano e spirituale.
Soprattutto, ma non solo, se fermi, con poco o senza lavoro, possiamo anche pensare di poter agire senza avere in vista un preciso utile economico, certi che qualcosa accadrà comunque. Ogni azione intrapresa nella vita porta sempre e comunque un ritorno, se fatta in maniera autentica.
Ci si sente disoccupati perché si è perso questo genere di lavoro che porta lucro e possibilità dell’acquisto di servizi e, nel lato pratico, ragionando sul principio economico moderno è così; sul lato morale si soffre questo stato, inconsciamente, perché ci si sente inutili.
Ognuno di noi, chi più chi meno, è titolare di una qualità lavorativa e se oggi abbiamo meno lavoro automaticamente, di riflesso, ci rimane in possesso più tempo.

Ed allora, lo citavo all’inizio, mettiamo la nostra qualità al servizio di chi non può pagarci, potremmo trovare molti come noi che ci ripagheranno della stessa moneta (un servizio), una moneta che certamente ci porterà in dote meno agi e lusso ma che ci libererà dalle catene di uno status economico che si certifica tramite parole tipo disoccupazione, povertà, crescita,benessere.

Parlavo di riferimenti alla storia … quando il profitto non era l’obbiettivo principale dell’ essere umano ed esistevano ancora dei lavori e delle figure professionali che avevano soprattutto valenza sociale ed all’interno dell’esistente “comunità” non esisteva realmente lo status di disoccupato (non lo era neppure l’epico scemo del villaggio).

Al di là della filosofia, il prossimo futuro ci porterà alla fine di questo orribile sistema economico sociale ed ai crolli dell’attuale sistema e delle attuali istituzioni quali naturali conseguenze … a quel punto potremmo, dovremo, vedere il lavoro non più inteso come “impiego” ma come possibilità di azione all’interno di relazioni inter-personali all’interno di  una rete di soggetti desideranti e potenzialmente capaci di agire in modo determinante a beneficio di terzi. 

L’economia odierna spinge alla dipendenza dal denaro e sulla disperazione che ci motiva a procurarcelo, le comunità da sempre spingono alla crescita le persone facendo leva sui meccanismi dell’autonomia e della speranza ben riposta nel mutuo sostegno.
Per millenni abbiamo vissuto di queste ultime e del poco denaro che occorreva, tornare ad ispirarsi a questa economia potrà essere solo salutare, senza fare balzi nel passato ma crescendo in modo sostenibile.

Giorgio Bargna