venerdì 21 febbraio 2014

L'antidoto

Scrivo spesso su quel cambiamento epocale che stiamo vivendo, spesso edito qualche formula che mi appare atta all’occasione; ne scrivo di frequente perché manca sempre un ingrediente da aggiungere, un qualcosa in più che vale sempre la pena di addizionare per pervenire alla fine ad un sunto da attuare appena gli eventi lo consentono.

Anche arrivassimo alla svolta (ce lo consentiranno?) badiamo a non passare al napalm tutto quanto, smembriamo però questo Leviatano sviscerandone i drammi sociali, sostituendoli con ciò che giova al bene comune. Sotto vari aspetti l’essere umano è stato annientato da problemi creati spesso in provetta ai quali non poteva contrapporsi … l’arma della libertà del “Popolo Sovrano” si chiama Democrazia Diretta. Essa non può essere considerata che l’”articolo 1” di un nuovo "Contratto Sociale". Questo Contratto, questo patto tra gentiluomini sostituirà profitto, competitività e concorrenza con Solidarietà, Cooperazione, Merito". Competitività e concorrenza rimarranno in vita nelle sfere di Cooperazione e di Merito … questo descritto è il fulcro dell’unico sistema che è in grado di unire ponendo in competizione, di unire premiando chi lavora bene, di quel sistema denominato Federalismo.

Essenziale è il coinvolgimento della popolazione per due motivi; il primo, che viene spontaneo e visibile a tutti di primo acchito, è la necessità di sottrarre un potere illimitato ai governanti, il secondo è l’esigenza di responsabilizzare permettendoci così di rimetterci con vigore sulla strada di una rinascita di una dimenticata e/o disattesa "Etica". Etica, armonia ed un’economia pulita sono i tre elementi essenziali e necessari per migliorare la qualità della vita.

Occorre una Democrazia Diretta vera, forte che consenta al popolo di essere concretamente sovrano e gli consenta, tramite maggioranza di decidere e proporre direttamente le Leggi e i Regolamenti e non ritengo un’eresia pensare di affiancare ad essa una rotazione più flessibile negli incarichi.
Nella distribuzione delle competenze sono convinto che allo Stato vadano lasciati pochi ministeri da gestire: Esteri, Difesa, Giustizia, Interni. I primi due a titolo completo, i secondi devolvendo parte dei compiti agli enti più localizzati; ho sempre espresso il mio amore per il “Municipio” e per le “Aree Territoriali Omogenee” che possiamo intendere sotto due forme, una più limitativa paragonabile ad esempio ad un Brianza, l’altra più estesa paragonabile ad un Insubria. Non penso tocchi allo Stato tracciare le linee sulle cartine, i confini si disegnano di per se stessi in base a parametri sia culturali, che economici, che ambientali.

In questi decenni abbiamo visto transitare e bruciare molto denaro.
Molto denaro è stato bruciato in giochi legato al denaro, un erosione di ricchezza conseguente all’azione del PIL ed agli sprechi di risorse umane, animali e naturali ad esso legati, va ricercata una qualità della vita slegata da questo parametro ossessivo che non è certo l’unità di misura adatta a misurare la qualità della vita.                                                                     
Molto denaro è transitato sporco, nascosto, illegale. So di proporre qualcosa di poco liberale e/o libertario ma l’eliminazione del denaro contante aiuterebbe, e non poco, una accurata tracciabilità sui movimenti di valuta, con adeguati controlli incrociati adeguato a misurare la qualità della vita.

Auspicabile è l’introduzione della "moneta locale" accompagnata nel suo percorso da una scadenza temporale che impedisca l’accumulo in modo che oltre al risparmio generato dai circuiti economici locali vengano tutelati anche coloro che i beni li producono innescando la catena della moneta locale.
Lo Stato stia più lontano possibile dalle attività che riguardano beni e servizi rivolti ai cittadini, lasciando che queste vengano guidate dalla cooperazione di cui sopra, dai cittadini che utilizzano e usufruiscono di determinati beni e servizi. Citando De Andrè aggiungo questa frase: Quello che io penso sia utile è di avere il governo il più vicino possibile a me e lo stato, se proprio non se ne può fare a meno, il più lontano possibile dai coglioni.

Da questo punto in avanti, nello stilare alcuni altri punti salienti di un percorso rinnovatore, utilizzo direttamente le parole di Francesco Bentia che ha ispirato molto questo intervento tramite un suo pensiero di qualche tempo fa.

1) Stabilire e porre in essere il nuovo Contratto Sociale sopra menzionato e come prima misura subito intervenire per una drastica riduzioni della forbice dei redditi pro capite da lavoro o risparmio. Il rapporto minimo/massimo reddito va subito ridotto a 1/7, per poi diminuire gradualmente a 1/4.

2) Produrre beni in genere e servizi il più vicino possibile ai luoghi di utilizzo e fruizione, in modo di avere catene di stakeholder, che possano garantire l'occupazione in modo costante, con controlli interni alle catene di stakeholder stesse e loro consorzi. (il capitalismo che nacque tra dazi vari, nella sua maturità cercò di eliminarli, ma ora vicina alla sua morte andranno, facilmente per curarlo, riattivati)

3) Occupazione: questo è l'argomento più difficile da risolvere, impossibile nel morente sistema capitalistico e suoi paradigmi, vediamo il perché e come si possa risolverlo.
Le crescenti continua informatizzazione, automazione e robotizzazione, portano a un altrettanto crescente diminuzione di lavoro umano. Il pensare di lavorare sempre più in pochi per mantenere anche chi non lavora è cosa insensata.
Quindi bisogna organizzarsi per potere offrire il lavoro a tutti, in modo utile, costituendo valide cooperative per la produzione e distribuzione di progetti, strumenti, beni e servizi, che andranno prodotti il più vicino possibile al luogo di utilizzo e fruizione per meglio garantire l'occupazione. La sola soluzione, per combattere efficacemente la disoccupazione in Italia e nel mondo, è la diminuzione delle ore pro capite di lavori giornaliere o settimanali. Ogni catena di stakeholder attraverso la sua dirigenza e le altre catene consorziate, dovrà farsi carico di risolvere le situazioni di crisi che si dovessero verificare, allargando in alcuni casi la collaborazione con altri consorzi di catene di stakeholder pur sempre "locali".

P.S. Bisogna cercare di evolversi e maturare una adeguata "Coscienza Etica", poiché altrimenti non si va da nessuna parte. Per un vero cambiamento la ricetta è pensare ed agire con "Amore, Cretività e Cura". La storia dovrebbe avere insegnato qualcosa ma sembra...

Giorgio Bargna


lunedì 17 febbraio 2014

Modelli

Stiamo vivendo senza ombra di dubbio un tempo che esprime la propria forma sostanzialmente in termini economici, un tempo giunto però, ormai all’epilogo con l’espandersi della crisi economica che ha raggiunto dimensioni globali. Contiamo ormai a migliaia, o forse servirebbe un altro parametro, quante sono le persone rimaste senza lavoro e denaro e le aziende in crisi e fallite. Un tempo, un modello di vita che basava il proprio benessere col solo parametro del possesso di beni economici, quando questi sono rimasti erosi le certezze non sono più state solide e il modello ha cominciato a vacillare.

Oggi iniziamo a toccare con mano, senza il flusso del denaro in cassa familiare, il problema di poter assolvere ai bisogni primari, cibo, acqua, casa; in termini pratici abbiamo un futuro praticamente, drammaticamente, insicuro.

Il dramma, oltre che concreto, è anche psicologico, per qualche decennio ci siamo valutati soprattutto in base a quanto possedevamo e quanto potevamo spendere, ora che possiamo poco ci sentiamo nulli ed in base anche a questi parametri ed alla dignità, che comunque non si cancella dal DNA, oggi non sono rari i casi di persone suicide a causa della perdita di un lavoro, perse ed impaurite in questa situazione.

La vergogna di questo tempo è aver equiparato il valore dell’uomo alla sua sola capacità di produrre reddito, di averlo reso nulla senza questo.

Forse, no sicuramente, questo meccanismo mortale, per somma grazia, si è inceppato; un meccanismo che ha falsato i valori, i ceti sociali, che ha minato il futuro nostro, dei nostri figli, dei nostri nipoti.

Abbiamo generato una cupidigia che ha ignorati le situazioni disperate dei terzomondisti (che oggi, è un giro naturale, cercano di imitarci), che ha minato l’equilibrio naturale del nostro pianeta, che ci ha portato a programmare il nostro futuro in brevi lassi di tempo, che ha portato alla disoccupazione prima i giovani ed ora i più maturi e che porterà ad una lotta tra generazioni per avere un posto di lavoro … un posto comunque sempre meno stabile e sempre più schiavizzante.


Ora c’è il futuro da affrontare, le modalità, le tempistiche che contraddistingueranno i comportamenti, sempre se ci sarà dato il tempo di vivere il tutto.

Il primo acchito sarà certamente caratterizzato dalla paura, dallo sconcerto, dallo sconforto, dallo scoprire che tutto quello che era il nostro mondo è svanito; verrà logico pensare che tanto vale arrendersi, arrangiarsi, sopravvivere depressi.

Poi verrà un passaggio obbligatorio, saranno prima i più forti ad innescarlo, poi i sopravvissuti tra i meno forti.


Stiamo vivendo una crisi, andiamo al suo significato etimologico, dal greco: [krisis] scelta, da [krino] distinguere:


"Dal decorso di una malattia alla vita di un governo, dal turbamento davanti a certi problemi ad una ciclica patologia dell'assetto economico, la crisi riempie i nostri discorsi. E non è un male. Certo, non pare una parola simpatica. Rappresenta un momento difficile, duro, spiacevole, e se ne farebbe volentieri a meno. Ma ciò che la sua saggia etimologia ci racconta è che la crisi altro non è che un momento di scelta, di decisione forte. Di rado capita che parole tanto potenti si ritrovino ad essere allocate tanto bene nella nostra lingua: ciò che possiamo fare, usandola come comunque faremmo, è solo ripulirla dal connotato pessimista che si concentra sul dolore o su un venturo esito funesto. Le crisi esistono e sono una delle infinite cifre della vita. Dicono che l'ideogramma cinese per 'crisi' sia composto dai segni che rappresentano 'pericolo' e 'opportunità'. È una baggianata. Ma quello che è vero è che, senza andare oltre la propria lingua, la crisi già rappresenta pericolo e opportunità. La crisi è la scelta che, volenti o nolenti, si è chiamati a fare".

In questo secondo passaggio potranno emergere (non è sicuro succeda) le qualità, le capacità, le infinite risorse dell’uomo, ci si renderà conto (volenti o nolenti) che la vita vale più di un sistema economico, del denaro, del lusso.

Verrà necessario cambiare rotta, rivalutare priorità di vita nascoste in cantina in nome di altro.

Tra chi vive già da tempo la crisi vi sono persone che hanno ridotto nel proprio piccolo gli sprechi di ogni genere, che hanno riprogrammato lo stile di vita, che hanno affittato un orto, che consumano in modo consapevole. C’è chi si è votato all’autoproduzione “casalinga” di beni, ai GAS, magari anche al co-housing.


Sono scelte belle e forti se vogliamo, che aiutano alla sopravvivenza quotidiana ma che non incidono più di tanto se non verrà ridisegnato quel quadro chiamato macroeconomia.

Si perché le scelte di vita familiari, personali, di gruppo sono vane se non si abbattono alcuni costi fissi calati dall’alto; si può anche guadagnare di meno, autoprodurre e scambiarsi quante più cose possibili, ma se bisogna sostenere delle spese fisse inevitabili diventa tutto molto difficile.


E’ chiaro, logico, che vadano abbassate le tassazioni, come i costi energetici, come gli affitti ed i costi sanitari, che vadano rivalutati gli stipendi ed i contratti di lavoro, o forse meglio, che vada ridisegnato il “lavoro”; concepire nuove forme ed orari di lavoro, con meno tassazione è una delle svolte che questa crisi deve produrre, tenendo presente le tematiche ambientali, generando così nuovi posti di lavoro e formando nuovi lavoratori.

Esistono realtà imprenditoriali di ogni formato che sono vere eccellenza, che possono essere dei veri esempi per creare posti di lavoro nuovi ed utili.

Vi sono decisioni che possono sorgere solo dal basso, ma devono essere espresse anche e soprattutto da chi è nella stanza dei bottoni.

Se venissimo dotati degli strumenti necessari generati da una politica produttiva rispettosa dell’uomo e dell’ambiente sono convinto ci rigenereremo.


Lo scrivo spesso, è soprattutto nel Locale che ritroviamo quello spazio naturale in cui l’individuo torna ad essere un tassello organizzativo, torna a sentire in se stesso lo status di appartenenza, torna a sentirsi responsabile del proprio territorio; in questo “terreno fecondo” possono crescere, oltre alla vera democrazia partecipativa ed il vero federalismo, il commercio sostenibile e l’abbattimento del consumo energetico.

Occorre, senza ombra di dubbio alcuna, ri-localizzare quelle risorse che risultano fondamentali alla comunita'; potremmo inserire in scaletta ad esempio cibo, energia, edilizia, sanita', oggetti  ad uso essenziale.

Ogni buon amministratore locale potrebbe così riuscire ad analizzare le ricchezze della propria comunita' e costruire un piano di trasformazione che miri al massimo dell’autonomia, intesa nel significato completo del termine.

Si possono, si devono, stimolare gli artigiani, le imprese nel produrre in prospettiva al consumo locale e non di quello esportativo.

I manufatti che passano direttamente dal produttore al consumatore si ritrovano ad essere sgravati dei costi dei sistemi di distribuzione, inoltre un trasporto a breve raggio permette di abbattere una delle cause dell’inquinamento.

Chi amministra un ente locale spesso si ritrova in difficoltà quando cercando di adempiere ad un proprio compito cerca soluzioni di rilancio economico e produttivo. La cosa vista con  superficialità appare spesso arida di soluzioni, ma esistono visioni più profonde e coraggiose. Possiamo pesare la ricchezza della comunita', se la vogliamo intendere veramente per tale, anche tramite la capacità di autoprodurre quanto poi viene acquistato ed usufruito sul territorio, sia come servizi, che come consumo generico.

Possiamo su questo tema aiutare sia chi produce che chi consuma; ad esempio l’acquisto consociativo di cibo e beni essenziali si traduce in risparmio.

La  creazione di una rete di produzione locale efficiente e che porti realmente ad un servizio valido, ad un abbattimento dei costi ed una certa sostenibilità consente di proporre di investimenti localmente. Cittadini ed imprese spesso e volentieri investono i propri risparmi o gli utili in titoli di stato o in svariati fondi di investimento; occorre invece dirottarli verso un investimento locale, economicamente anche più sicuro e controllabile.

Aldilà dell’investimento su un edilizia cooperativa e solidale i nostri amministratori possono puntare anche verso lo sviluppo di una rete di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che renda autosufficiente il territorio. Potrebbero investire e far investire aziende e consumatori indicando la via di un perfezionamento energetico degli edifici tramite azioni quali l’ isolamento dei tetti, tripli vetri, muri coibentati.

Non va sottovalutato neppure l’aspetto monetario locale. Se ben intesa e sviluppata la moneta locale crea un meccanismo di doppio prezzo, spendendo denaro locale (che viene così reinserito in circolo) hai uno sconto sulle merci.


Quanto scritto, sebbene possa avere un valore, però sono parole, oggi NOI abbiamo un dovere, quello di portare avanti queste od altre idee alternative e rigeneratrici e renderle al più presto concrete.

Presto si, perché il presente, per molti ormai è divenuto invivibile.


Giorgio Bargna