giovedì 3 luglio 2014

Educazione Civica, Cittadinanza Attiva

Prendo spunto nel cercare l’argomento da trattare approfittando di un tema che stiamo trattando in un gruppo privato, intenzionato a diventare progetto attivo: l’ educazione civica.
Si tratta di un argomento abbastanza fumoso, per come è sempre stato trattato nel nostro paese. L’educazione civica, più che per la propria attuazione, è sempre stata famosa quale materia scolastica da seguire senza troppa passione.

Nelle intenzioni dei governanti essa dovrebbe educare i cittadini a comportamenti socialmente utili, il punto è: cosa vogliono insegnarci persone che eticamente hanno poco valore? Non parlo degli insegnanti, parlo di chi gestisce la “patria podestà”…non ho sbagliato battere lettera, podestà intesa in questo senso.

Credo sia sensato incorporare in questo argomento temi quali educazione ambientale, educazione stradale, educazione sanitaria, educazione alimentare, leggi  e costituzione, risparmio energetico. Potremmo, concentrandoci, aggiungere probabilmente molti altri temi, diciamo però che l’educazione civica debba servire soprattutto a fornire conoscenze e strumenti che consentano di parlare di cittadinanza attiva, quindi, a mio avviso, diritti e doveri, poteri e responsabilità.

Per molti anni ho scritto essenzialmente di politica, oggi incrocio, possibilmente, ad essa qualcosa di sociale anche se non essenzialmente legato in senso stretto; quanto scrivo oggi però, oltre che essere una specie di disamina sociale è anche un invito alle amministrazioni, locali e non, per un percorso … non mi dispiacerebbe che l’amministrazione della mia città (espressa dal movimento politico a cui appartengo) ne tenesse conto.
Possiamo quindi a livello amministrativo locale, ma si potrebbe ampliare il discorso, parlare di cittadinanza, oltre che “educata” anche attiva.

Promuovere della cittadinanza attiva vuol dire anche invitare i cittadini a fare cose, aderire a programmi, esserci, quindi numeri, persone che aderiscono, che vengono convocate, anche attraverso le iniziative on line, a “fare” qualcosa, ad esserci. In realtà Cantù già si fregia di tutto ciò, ma occorre spingere affinché sia possibile fare sempre meglio e sempre meglio venga rappresentato e divulgato.

Oggi in un periodo in cui i tradizionali soggetti della rappresentanza sono in crisi, viaggiano in rotta di collisione col mondo, è giunto il momento per far valere nuovi criteri di rilevanza. Le regole che ordinano le modalità di selezione degli interlocutori hanno ormai variato i valori e vanno adeguate all’evoluzione dei rapporti sociali e istituzionali, vanno moltiplicati i luoghi istituzionali, i ruoli e le funzioni pubblici, le occasioni in generale in cui la rappresentanza civica diventi un fattore ordinario di partecipazione.

Una reale rivoluzione civica non può prescindere dalla creazione e il consolidamento di un ambiente in cui contino i temi civici. Occorre quindi strutturare una politica culturale, creare alleanze tra soggetti associazioni e di altri mondi, rendere “pesante” e visibile perché ricco di cose, di idee, di persone intelligenti il mondo dei cittadini organizzati. Può voler dire creare cordate con altri soggetti, dare vita a siti, fare campagne “civili”. Partire soprattutto dal presupposto che certe battaglie non si vincono da soli e che l’unione fa la forza.

Occorre impossessarsi delle informazioni che occorrono a capire le priorità e i problemi di interesse pubblico, per costruirne agende e politiche, per definire gli interventi definiti e per valutare l’operato dei governi. Occorre che questo accada non solo per alzare il livello qualitativo delle politiche, ma anche per allargare sempre più ai cittadini, direttamente interessati, la governance dei sistemi di intervento pubblico.

Purtroppo una delle lacune dell’attivismo civico è la propria invisibilità, vale a dire la difficoltà a rappresentare quello che si fa, le persone che lo fanno, i risultati che si raggiungono. E’ necessario rilanciare, con il contributo delle istituzioni e dei media, campagne di comunicazione per far conoscere a tutti la possibilità di attivarsi prendendosi cura dei beni comuni del proprio territorio.

Parliamo quindi, miscelando educazione civica e partecipazione, di ciò che in molti ambienti viene definita “buona pratica”; una “buona pratica”, per essere definita tale, deve  soddisfare a mio, e non solo, parere sicuramente almeno questi requisiti:

• MISURABILITÀ (possibilità di quantificare l'impatto dell'iniziativa);

• INNOVATIVITÀ (capacità di produrre soluzioni nuove e creative per il miglioramento della qualità dei servizi e per la tutela dei diritti dei cittadini);

• SOSTENIBILITÀ (attitudine a fondarsi sulle risorse esistenti o capacità di generare essa stessa nuove risorse);

• RIPRODUCIBILITÀ (possibilità di trasferimento e applicazione in luoghi e situazioni diversi da quelli in cui è stata realizzata);

• VALORE AGGIUNTO (impatto positivo e tangibile sui diritti degli utenti e sulla promozione della partecipazione civica).


Ne torneremo a parlare, Giorgio Bargna

martedì 1 luglio 2014

La fatica di essere "Social"

Partiamo, scrivendo e leggendo questo ragionamento, dal concetto che io di tutto sono tranne che un esperto in comunicazione.

Quando leggo articoli che provengono da “Il Ribelle” in genere mi trovo in larga parte in linea; nel caso di questo articolo invece non succede proprio così.

L’autore, accusa Facebook di inutilità e controproducenza a livello di informazione e cultura.
L’autore ritiene che è necessario approfondire un argomento prima di imbrattare il web di messaggi a più non posso, che basterebbe andarseli a studiare.
Non gli posso certo dare torto, ma la dispersione di idee grezze e non approfondite non è certo un esclusiva dei social network in genere. Basta entrare in qualsiasi bar, in qualsiasi negozio, in qualsiasi luogo di lavoro per sentire riprodotto a voce quanto espresso a parole sui muri del web.

Ci si chiede nell’articolo, tra le altre cose, i motivi per i quali si ricerchi il contatto, il raffronto, la condivisione con degli sconosciuti. Questo in realtà è il senso (visto dalla parte del fruitore del servizio) dell’esistenza dei social, si ricercano contatti con cui condividere e ragionare, confrontarsi e supportarsi. Nella mia bacheca Facebook risultano presenti 2.900 amici, credo di conoscerne personalmente circa il 10%, di cui abbastanza bene non più del 2%, i veri amici li conto con le dita delle mani. 
Malgrado tutto in questi anni sono riuscito a catalizzare attorno alle mie pubblicazioni prettamente politiche molti lettori e qualche condivisore: questi ritengo siamo coloro che fruiscano al massimo del sevizio che da il social. 
Più raramente è successo sulla mia bacheca di discutere … è bello quando si ragiona lo è meno quando ci si pone quali scudieri di un idea. Per qualche tempo mi son perso in discussioni sviluppatesi all’interno di “gruppi” … era realmente tempo perso, quando ci si trova di fronte a chi non accetta che vi possa una visione diversa c’è poco da fare, sia per apprendere che per convincere.

Vi sono aspetti negativi probabilmente nell’utilizzo dei social, c’è chi condivide la propria privacy a più non posso, senza ritegno ed a rischio di condivisione incontrollata; anche qui però dipende dall’utilizzo: posso volendo divulgare ilo mio stato d’animo attraverso frasi e/o brani musicali, ma se voglio dire quante volte faccio plin plin o se mia moglie mi mette le corna ho modo di dirlo con funzioni personalizzate.

Certo che oltre alla velocità di comunicazione si è accelerata anche la pubblicità delle intenzioni di una persona; io non ritengo sia un male, anzi.

Su una cosa ha ragione chi ha scritto il testo, oggi chi è vicino a qualcuno. In un luogo, in una situazione, rischia di essere catapultato nel mondo, sarà questo un danno? Sarà un reato? Forse non sono ancora maturati i tempi per stabilirlo.

Di sicuro i social, usati al meglio, catalizzano, come si dice sono virali, ma quanti leggono e ragionano e quanti viaggiano a carisma e /o simpatia? Quante persone in realtà vengono veramente raggiunte? Secondo me non ce lo diranno mai, noi resteremo i fruitori del servizio, i conteggi saranno sempre appannaggio di chi  gestisce il giro del fumo.

Una cosa è certa, utilizzare un social con tutti i crismi porta ad uno spreco di energia enorme seguendo i “mi piace”, le condivisioni e le pubblicazioni per ottenere poi un ritorno che non sappiamo valutare in toto?
Ne vale la pena? Non lo so, ma ho corso il rischio e lo correrò ancora per molto.

Giorgio Bargna