sabato 6 settembre 2014

Sogni

Il contenuto dei sogni viene sempre determinato, in misura maggiore o minore, dalla personalità individuale, dall'età, dal sesso, dalla condizione sociale, dal livello culturale, dal modo di vivere abituale, dagli avvenimenti e dall'esperienza di tutta la vita passata. (Peter Jessen)

Esistono una serie svariata di sogni che si possono realizzare: d’amore, sociali, economici, di soddisfazione egoistica e via dicendo. La concretizzazione credo però passi sempre per dei procedimenti molto comuni tra loro.

E’ indubbio che ognuno di noi, piccolo o grande che fosse, ha sentito nel corso della propria  la vita voglia, la necessità, di realizzare un sogno.

Sicuramente gli ambienti, gli accadimenti, le situazioni e la collettività di un sogno condizionano l’esito, ma innanzitutto (ed a noi questo interessa) la realizzazione dipende dalle azioni di chi questo sogno lo vorrebbe concretizzare.

Chiediamoci innanzitutto cosa farà di un sogno una realtà?

Senza fantasia non ci sarebbe il sogno, quindi ci vuole. Poi la volontà, perchè la probabilità non partorisce l'atto da sola. Attinenze ed interdipendenze con le persone che ci attorniano, perchè senza di loro la volontà sarebbe un motore senza frizione. Infine anche una certa parte di fortuna, che richiede tutte le cose precedenti per poter essere colta.

Il  Sogno,  quello autentico, è un disegno che riusciamo a comprendere solo durante alcuni momenti, alcune situazioni: si tratta di un incastro che si svela a step, passaggio dopo passaggio, pezzetto per pezzetto. Solo la fede nel proprio sogno e l’ostinazione mista al coraggio ed alla follia concedono la possibilità di vederlo un giorno realizzato. Per la realizzazione di un sogno, sono poi convinto, che occorra saper ascoltare. Occorre esser in grado di recepire tanto i segnali che ci giungono dall'esterno quanto quelli prodotti dal proprio cuore. Ognuno di noi attua le proprie strategie di ascolto, queste sono però fondamentali. Il nostro cuore, nello scorrere della vita, se sapremo ascoltarlo, ci indicherà lo scopo per cui siamo nati e viviamo su questa terra, la motivazione della nostra esistenza. Non esistono cuori silenti, ogni persona riceve quotidianamente messaggi e stimoli dal proprio cuore, esiste però chi non desidera ascoltare.

Aldilà di tortuose congetture psichiatriche nessun senso di colpa è più terribile di quello di non aver fatto della propria vita qualcosa di soddisfacente. La vita purtroppo pone tutti di fronte a strade spesso tortuose e difficili, un elemento essenziale è dunque la fiducia in se stessi. Esiste chi presume di non meritare e/o esigere nulla di più di quello che ha. Io credo sia vero l’esatto contrario e per quanto la strada del miglioramento e della soddisfazione sia spesso difficile e tortuosa, pur non sapendo in anticipo quale sarà l'esito, credo che Cuore e Fiducia siano ingredienti fondamentali e risolutivi.

Dopo l’analisi, provo a stendere una sorta di vademecum; nulla di perfetto e che tracci una strada certa, si intenda, ma comunque una visione lucida del percorso.

Proviamo innanzitutto a chiederci qual è il compito da assolvere  per cui siamo stati creati. Il momento in cui la maggioranza rinuncia è quando, nonostante i tentativi di realizzare qualcosa, non si ottengono risultati apprezzabili. Necessita essere diversi, pazienti. Se vogliamo vivere la vita dei nostri sogni, dobbiamo assolutamente seguirli. Occorre non trovare scuse e non dare la colpa agli altri. Occorre creare i presupposti per cui le nostre parole e le nostre azioni manifestino chiaramente l’intento, questo ci aiuterà a realizzare l’obiettivo. Di conseguenza stop alle lamentele e spazio al coraggio ed alla voglia di agire. Perseverando nella riproposizione delle stesse azioni otterremmo gli stessi risultati, di conseguenza per giungere alla meta occorre cambiare abitudini, modificare (se occorre)  quelli che sono i sogni ad occhi aperti ed agire diversamente; due sono le possibilità: cambiare strada o affrontare le cose in modo diverso.

Per ottenere un risultato occorre non aver paura di agire, fare almeno un tentativo, non limitarsi alla lamentela, avere il coraggio di uscire dalle "acque sicure" e di provare a cambiare le cose, oppure di andartene. Davanti all’ intuizione che qualcosa stia per accadere agiamo in modo da creare i presupposti perché i sogni si realizzino impegnandoci al massimo e carichi di motivazioni.

Prima di ogni cosa però occorre riconoscere il proprio scopo nella vita, muniti di strumenti di scrittura descriviamo la nostra vita così come vorremmo fosse; una volta isolate le necessità da conclamare prima della dipartita, stendiamo un elenco di punti essenziali all’ obiettivo e le metodologie che pensiamo utili alla realizzazione.

Giunti a questa fase siamo pronti a spiccare il volo, buona realizzazione a tutti, Giorgio Bargna



martedì 2 settembre 2014

Terza posizione (3)

Nel settembre 2008 pubblicai sul mio vecchio blog Giorgio Partecipativo una mia opinione sull’immigrazione divisa in tre tranche; la ripropongo oggi pari pari ad allora,oggi la terza ed ultima parte.


Concludiamo velocemente il discorso intrapreso in questi giorni. Buona lettura, Giorgio.

Oggi ci troviamo davanti, in Italia e nella nostra città , a due principali posizioni sul tema, la sinistra avvalla da sempre anche le immigrazioni selvagge alla ricerca di futuri voti, la destra le avvalla cercando nella xenofobia dell'opportunismo politico. Ritengo che noi attivisti di “Lavori”siamo diversi da costoro, che siamo in grado di trovare risposte non urlate ai problemi; dovremo dunque,con la forza della calma e della riflessione, cercare di proporre qualcosa di concreto sul tema, studiando la soluzione in modo, di risolvere il problema della povertà in alcuni paesi là, sul luogo, almeno in parte. Volendo, già lo dissi nel periodo natalizio rispondendo a Giacomo, per risolvere il problema del terzo mondo basterebbero cinque minuti; sarebbe sufficiente trasformarsi in novelli S.Francesco, spogliarci di ogni bene e donarlo, trasferire parte della nostra economia industriale la dove non c'è, ma sappiamo che questa è un'utopia irrealizzabile a causa dell'egoismo dell'essere umano. E allora? Mi chiederete...Allora,dicevo,una seria politica di aiuto al terzo mondo ed anche evitare un'immigrazione sfrenata; noi promettiamo a chi entra in Italia l'AMERICA, ma poi doniamo loro solo una sorta di BANGLADESH . Non si aiuta nessuno invitandolo all'indigenza rendendolo facile preda della delinquenza o, nel migliore dei casi, della fame in un luogo diverso da quello di provenienza. Mimmo nelle scorse settimane ci ha invitato a rileggere la Carta Universale dei Diritti dell'Uomo, uno stupendo documento dove però vi è anche scritto:

Articolo 1:Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 3:Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Articolo 9:Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Articolo 14:Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Perchè sottolineo ciò?  Ve lo spiego utilizzando le parole di un mio post pubblicato sul mio spazio web:
...mi appare in sogno (oppure era un incubo?) un pellerossa di età avanzata con in testa il copricapo tipico di un Grande Capo Indiano. Mi racconta di quando lui e la sua gente si lanciavano in felici scorribande a caccia di mastodontici bisonti, e ,di quando felici e spensierate le tribù indiane pescavano a mano libera nei fiumi. Poi, mentre una ruga di tristezza attraversa il suo volto, mi racconta di quando per la prima volta uomini dal viso pallido si avvicinarono al suo villaggio; erano semplici famiglie di agricoltori e pastori che cercavano solamente una nuova terra dove rifarsi dalla sfortuna che li aveva colpiti in Inghilterra. Dopo di loro,che erano gentili ed amichevoli, piano piano, poco alla volta cominciarono ad arrivare personaggi sempre meno socievoli e sempre più armati fino a capire un giorno, che questi masnaderi altro non erano che dei galeotti inglesi che erano stati spediti li dal loro governo che, non sapendo come sbarazzarsene, non trovò idea migliore che spargerli in giro per il mondo. Con un affievolamento della sua ruga mi guarda e , col sorriso beffardo di chi si gusta una piccola rivincita ,mi dice:oggi i vostri governi occidentali ospitano ed aiutano tanta brava gente che arriva da paesi più sfortunati dei vostri,ATTENTI,i governi di quei paesi approfittano di loro per aggregargli delinquenti di ogni genere e fanatici religiosi che non sanno più come gestire.

Noi ci siamo posti davanti agli elettori come una TERZA POSIZIONE politica, non di destra, non di sinistra. Abbiamo proposto a TUTTI i nostri programmi, a TUTTI abbiamo chiesto di votare per noi alla ricerca di una politica onesta. Oggi siamo noi però nella posizione di dover accogliere le richieste di TUTTI , siano essi immigrati senza fortuna, italiani poveri o cittadini spaventati; senza favorire i bisogni di uno o dimenticarci dei bisogni degli altri, non solo perchè abbiamo chiesto il voto a TUTTI, ma anche e soprattutto perchè, almeno sotto il mio punto di vista, questo è il giusto modo di comportarsi.
Nei paesi civili, io trovo, si concede l'accesso agli stranieri solo se hanno garanzia di lavoro e vita decente; additarsi come " l' america" e accettare l'ingresso a chiunque è solo fare violenza a chi entra. Non si aiuta nessuno invitandolo all'indigenza, rendendolo facile preda della delinquenza o, nel migliore dei casi, della fame in un luogo diverso da quello di provenienza..La criminalità in Italia viene già ben rifornita dai nostri connazionali; la povertà in Italia è già sufficientemente diffusa tra i nostri connazionali.

Acconsentiamo dunque  l'ingresso solo a quanti siamo in grado di fornire una vita dignitosa ed un lavoro sicuro, concedendo loro una volta stabilitisi da noi gli stessi diritti e le stesse certezze, ne una di più, ne una di meno; ma evitiamo vi prego un sovraffollamento caotico che porterebbe negli anni ad una guerra tra poveri.

Giorgio Bargna

lunedì 1 settembre 2014

Terza posizione (2)

Nel settembre 2008 pubblicai sul mio vecchio blog Giorgio Partecipativo una mia opinione sull’immigrazione divisa in tre tranche; la ripropongo oggi pari pari ad allora.


Prosegue il mio pensiero sull'immigrazione inviato agli amici di “Lavori in Corso”. Buona lettura, Giorgio.

Primo traduttore ufficiale in Italia di A. de Benoist è stato Marco Tarchi (anch'esso transfugo della destra storica) e scartabellando nell'orbita del pensiero Debenoistiano ho trovato un testo di Tarchi sull'immigrazione da cui estraggo alcuni passaggi.

Un eminente studioso dei problemi sociali come Luciano Cavalli (a questo indirizzo troverete una sua rapida descrizione,http://www.fupress.com/scheda.asp?idv=1741 ), ad esempio, deplorando "il permanere dei veli ideologici" che impedirebbero di percepirne il significato di "ulteriore colpo demolitore" della nazione intesa "come comunità di stirpe, cultura, storia e destino", in un suo saggio recente ha attaccato frontalmente l'immigrazione extracomunitaria di massa in termini di sorprendente durezza. "Se l'immigrazione si sviluppa, per il tacito consenso della classe politica, nelle dimensioni ritenute probabili dagli esperti", ha scritto il sociologo dell'Università di Firenze, "al di là della crescita certa di malessere, scontento e conflitto (...) c'è il pericolo di quella che possiamo chiamare la saturazione migratoria. L'invasione dall'altra sponda e dall'Est, se praticamente incontrollata, scardinerebbe economia, società, ordine pubblico, cultura (...), dunque la civiltà che ci siamo costruiti nel corso dei secoli, che dà una sua peculiarità al nostro popolo e a tutti i nostri rapporti interpersonali, che è parte di ciascuno di noi, elemento della nostra più intima essenza personale".

Tre atteggiamenti di fronte all'immigrazione

Per verificare la plausibilità di questa ipotesi, partiamo dagli atteggiamenti attualmente riscontrabili nell'ambito delle elaborazioni politico-culturali in materia di immigrazione. Volendo costruirne schematicamente una tipologia, ci sembra di poterli ridurre a tre:

a) L'esaltazione senza riserve della positività dell'incontro fra immigrati e popolazione di accoglienza, per i suoi caratteri di potenziale arricchimento, reciproco o meno. E' la posizione che si esprime, nelle sue punte più estreme, in un elogio della commistione e del meticciato  i cui fondamenti ideologici risiedono nei postulati del cosmopolitismo e dell'individualismo.

b) Il rifiuto del contatto e dello scambio, basato su due rappresentazioni assai diverse, anche se spesso strategicamente convergenti, dell'Altro, dell'Alieno, ora visto come inferiore e sottoposto a comportamenti di sopraffazione e di dominio (è il caso delle forme di razzismo consapevole e dichiarato esibite dagli skinheads e da altri gruppuscoli consimili), ora visto come il diverso, lo sconosciuto che incute timore ed apprensione, e fatto oggetto di discriminazioni dettate dal senso di insicurezza (questa è l'immagine prevalente, come dimostrano numerose ricerche e sondaggi, fra gli elettori dei maggiori partiti xenofobi, a partire dal Front National francese). Un amalgama dei due atteggiamenti è riconoscibile nel modello dell'apartheid sudafricano.

c) L'accettazione pragmatica del fenomeno, che senza scadere in contrapposti eccessi di giudizio etico, mira a controllarne la portata e ad organizzarne le forme. E' la posizione che si esprime nella convinzione che una parte del flusso migratorio di questi ultimi venticinque anni si debba considerare definitiva, come è accaduto fra Ottocento e primi decenni del Novecento con i numerosi gruppi etnici europei sparsisi attraverso il Vecchio continente, le Americhe e l'Australia, ma che nel contempo esista in ogni società una soglia di integrazione degli allogeni che, se varcata, induce turbative e disagi non controllabili. L'espressione che definisce la convenzione alla base di questo atteggiamento può essere presa a prestito da un articolo di Marcel Gauchet: Gli immigrati degli ultimi decenni "Sono qua e ci resteranno!”


Differenzialismo o assimilazionismo

Molto più interessante è scandagliare la terza opzione. Essa si fonda su un'argomentazione estremamente semplice: che lo si voglia o meno, che la si consideri una potenziale tragedia o una occasione di arricchimento, oppure, come a noi pare più logico, un fenomeno oscillante nell'ampio spazio situato fra questi due estremi, la multirazzialità è una realtà ormai inscritta nel futuro delle società industrialmente avanzate. Esorcizzarla con il ricorso a fantasmi apocalittici [...................] Oppure come una società differenziata e multiculturale, retta da una dinamica di scambi e interazioni ma fondata sul riconoscimento del diritto alla specificità di ogni gruppo etnoculturale, in un contesto che si potrebbe definire quasi di una società di comunità, al plurale. [...................] Quel che appare sin da oggi certo è che i paesi sviluppati dovranno necessariamente scegliere fra questi contrapposti modelli di sviluppo, salvo soccombere, in caso contrario, ad un'inevitabile crescita di microconflittualità anarchica ed anomica.

Fra i sostenitori delle due prospettive in contrasto la polemica è aperta, ed ha assunto talvolta toni esasperati. In particolare, come ha ben rilevato Alain de Benoist, [..................] l'atteggiamento differenzialista, che afferma la possibilità e la necessità di una convivenza fra diversi coscienti della propria rispettiva specificità, si esprime come una forma esplicita e meditata di antirazzismo.

Chiarire gli aspetti tragici del fenomeno migratorio, e porre la coscienza vissuta dell'identità come unico strumento per attenuarli, non significa d'altronde in alcuna misura abbandonarsi a tentazioni razziste. A meno di non voler accusare di razzismo anche l'Unesco, che in numerosi inserti pubblicitari comparsi sulla stampa italiana ha enfatizzato i suoi programmi di aiuto allo sviluppo dei paesi africani proprio facendo ricorso all'argomento dello sradicamento, del disagio e delle umiliazioni a cui deve sottostare chi, strappato alla cultura e all'ambiente d'origine dalla miseria, intraprende la via, spesso senza ritorno, dell'espatrio. Nel contesto del fenomeno migratorio, la consapevolezza della differenza ed il suo riconoscimento esercitano un'azione positiva in una duplice direzione: consentendo a chi si trova a dover vivere in un contesto civile per molti versi estraneo di mantenere un solido referente identitario e allontanandolo da quelle forme di anomia e di perdita di senso del proprio essere che creano una disponibilità psicologica all'infrazione delle norme e all'aggressività.

Della personalità carnale e spirituale dell'Altro non sembra invece tenere il dovuto conto quella corrente assimilazionista, [...................] che spesso copre con un velo di ipocrisia la dura realtà del confronto fra culture autoctone e allogene parlando eufemisticamente di "scambio di popolazioni", accetta a cuor leggero l'idea di una società multirazziale, di cui vede i margini di utilità economica - manodopera a buon mercato e di pretese, anche abitative, per adesso modeste -, ma ne rifiuta ogni declinazione in termini multiculturali, sperando di ripetere l'esperienza di centrifugazione/assimilazione riuscita, in condizioni ben diverse, nell'Europa del secondo dopoguerra con le popolazioni di origine contadina affluite nelle città industriali.

Partendo da questo pensiero mi nasce spontanea una riflessione. Noi viviamo in una città dove la popolazione (in parte lo sono anch'io) quasi in maggioranza è composta da immigrati meridionali giunti qui negli anni 50. Se ad essi avessimo dovuto imporre il dialetto canturino e il risotto con gli ossibuchi avremmo distrutto l'integrazione e perso dei patrimoni culturali. Chi ha voluto tra gli adulti si è "integrato", chi no è rimasto un "terrone", un "terrone" però che ha rispettato le leggi nazionali e le tradizioni altrui. I figli di entrambe le categorie sono oggi integrati e "mischiati" in matrimoni misti, se avessimo imposto una monoculturizzazione forzata ora mangerebbero gli ossibuchi, ma non si sentirebbero canturini. No al monoculturismo, alla globalizzazione ed a ogni forma di omologazione forzata.

(continua)


domenica 31 agosto 2014

Terza posizione

Nel settembre 2008 pubblicai sul mio vecchio blog Giorgio Partecipativo una mia opinione sull’immigrazione divisa in tre tranche; la ripropongo oggi pari pari ad allora.


In questo periodo, all'interno di “Lavori in Corso” , si è avviata una discussione sull'immigrazione clandestina. Ne segue diviso in tre parti il mio pensiero che ho inviato a tutti, Giorgio.

Ritorno a parlare di immigrazione ripartendo da quella che è una mia profonda convinzione, l’immigrazione “malgestita”, così come in Italia accade, è un imposizione per noi ed una denigrazione della figura umana di chi entra nel nostro paese seguendo una speranza, spesso irraggiungibile. Se così fosse in realtà ogni discussione sul tema potrebbe risultare inutile, ma anche lo fosse si può sempre tentare di sovvertire l'ordine delle cose, del resto il nostro impegno politico va proprio in questa direzione. Molte volte, dalla parte di pensiero opposta alla mia, chi la pensa come me viene additando dell'etichetta di “razzista mascherato”, viene guardato con sospetto e con pietà da chi ritiene di avere nelle mani la verità assoluta. Non sono certo un esperto in psichiatria ma è noto anche a me che dopo l'avvento della dottrina freudiana tutte le negazioni possono essere intese come conferma del sintomo: in tal modo Marx potrebbe ben essere considerato un “anticomunista mascherato”. Io non mi considero razzista, vedrò di non limitarlo a parole ma cercherò di dimostrarlo con le mie teorie e se possibile con delle proposte.


Intanto ordiniamoci le idee sui due significati che riesco a dare al termine razzismo:

- sul piano ideologico possiamo considerarlo una dottrina che fa della razza il fattore principale dell’esistenza umana

-sul piano sociologico possiamo descriverlo come un’attitudine di sistematica ostilità verso uno o più gruppi umani


Al di là della parentesi nazista, considero il razzismo teorico meno pericoloso di quello sociologico, la razza (quanto l' economia) non potra mai essere concetto che illumina la storia; chi si richiama ad esso come parte essenziale di un pensiero dona poca vita alla durata del proprio potere.
Il razzismo sociologico invece lo trovo molto più pericoloso, è una delle varianti della paura dell’altro, vale a dire l’incapacità di riconoscere il valore delle differenze e il carattere positivo dell’alterità; ho sempre modo di tremare davanti alle paure, in particolare innanzi alla xenofobia.


Cerco, spesso ma non sempre vi riesco, nella mia “filosofia” il rigetto di tutti gli atteggiamenti consistenti nel porre l’“Io” o il “noi” come criterio del valore della verità.
Pur non avendo affatto “l’ossessione” della differenza a tutti i costi, constato comunque che viviamo in un mondo dove le identità culturali, i modi di vita differenziati, tendono mano a mano ad essere sradicati dalla logica del capitale, il quale omogeneizza il sociale assoggettandolo all’immaginario della merce.


Ma usciamo dalla divagazione sulla mia persona e torniamo al fenomeno dell'immigrazione.
Partiamo da un pensiero che io definisco in un certo senso “ecologico” che un blogger che scrive nella mia stessa piattaforma ha pubblicato giorni addietro, una visione certamente parziale del fenomeno, da cui però potremmo prendere qua e la qualcosa di effettivo. Leggiamo dunque questo appello alla sostenibilità scritto per una volta da un uomo di destra:


“Una popolazione di dimensioni stabili è essenziale per proteggere l'ambiente. La politica dell'immigrazione dovrebbe essere basata su un dato di fatto che una popolazione di dimensioni stabili è essenziale se vogliamo evitare un'ulteriore deterioramento del sistema che ci sostiene, il nostro ambiente e le nostre risorse naturali, indipendentemente da quanto risparmiamo in termini di risorse, rimane un fatto fondamentale che un numero sempre maggiore di persone pesa inevitabilmente in modo crescente sul nostro ambiente naturale e sociale. Più gente significa un maggiore impiego di energia, maggiori ingorghi nel traffico, maggiore produzione di rifiuti tossici e una accresciuta tensione che risulta dal vivere in ambienti urbani sovraffollati. Per quanto efficienti possiamo essere nel nostro utilizzare le risorse e per quanto risparmiamo nel tentativo di preservare l'ambiente, più persone significano semplicemente un maggiore stress per l'ecosistema. E il sistema sociale, fenomeni di affollamento esasperato deforestazione, dimostrano ampiamente che ogni persona, per quanto punti alla conservazione, aggiunge un ulteriore carico all'ambiente in cui vive. La considerazione chiave è la capacità di carico del territorio tenetelo presente  per "capacità di carico" s'intende il numero di persone che possono essere mantenute in modo sostenibile da una determinata area senza degradare l'ambiente naturale, sociale, culturale e economico per le generazioni presenti e future. La capacità di carico comprende la capacità dell'ambiente naturale di fornire le risorse, il cibo, l'abbigliamento e il rifugio dei quali abbiamo bisogno, e la capacità dell'ambiente sociale di fornire una qualità della vita ragionevole, questa capacità di carico in Italia è prossima ai limiti ma le mezze seghe della politica non hanno il coraggio di dirvelo, potrebbero essere scelti molti fattori (ad esempio, l'energia, le foreste, gli inquinanti) per illustrare i limiti che la capacità di carico impone alle dimensioni della popolazione, esaminare un esempio lampante, l'energia, fornisce molto rapidamente la misura dell'importanza e dell'utilità del concetto di capacità di carico, inoltre, non esistono modi economicamente o energeticamente efficienti all'orizzonte per incrementarne la disponibilità.”


Quanto Oscar  abbia torto o ragione poco importa, poiché il fenomeno delle trasmigrazioni, che esiste dalla notte dei tempi, se ne strafotte di questo genere di discussione, continuando imperterrito il proprio corso; negli ultimi due decenni un massiccio trasferimento di popolazione, sta spostando milioni di esseri umani dai paesi in via di sviluppo, o sottosviluppati, del cosiddetto Sud del mondo, verso le aree geografiche dove è maggiormente diffuso il benessere economico: l'Europa e il continente nordamericano in primo luogo, ma anche verso zone meno analizzate ad oggi da sociologi e demografi, quali magari l'Oceania e il Sud-Est asiatico, portando alla luce fenomeni di diffidenza, rifiuto e intolleranza connessi all'incontro/scontro tra popoli di diversa estrazione etnica.



E' chiaro, con questo dato di fatto, che le migrazioni intercontinentali ed interculturali, nelle proporzioni attuali, rappresentino un serio banco di prova per la tenuta dell'ordine sociale in Occidente, non a caso  tanto nel campo "conservatore" quanto in quello "progressista" va crescendo una consapevolezza che travalica la sfera dei commenti dettati da pregiudizi o dagli storici dettami ideologici.
Trovo molte concordanze col mio pensiero “popolar-partecipativo” intriso di sussidiarietà, ecolocalismo, antiglobalismo e valore della persona, nel modo di pensare di Alain de Benoist, un “pensatore” francese, che nasce ideologicamente a destra ma che nel portare avanti la sua ideologia fondando un movimento chiamato “La Nuova Destra” in Francia si ritrova nel fuoco incrociato delle due posizioni storiche del pensiero politico. Tanto per illustrare velocemente vi lascio un suo brevissimo pensiero:
“Alcune idee che erano state coltivate soprattutto a destra, passano oggi a sinistra (ad esempio la critica dell’ideologia del progresso) mentre altre che erano state coltivate soprattutto a sinistra passano a destra (ad esempio, la critica del mercato). Ne risulta che le nozioni di destra e sinistra non sono più efficaci per comprendere il paesaggio politico-intellettuale che abbiamo di fronte. Se qualcuno mi dicesse che è “di sinistra” – o “di destra” non saprei praticamente nulla di ciò che pensa. Tutti i grandi avvenimenti degli ultimi anni (costruzione europea, guerra del Golfo, riunificazione tedesca, intervento dell’occidente nel Kossovo ecc..) hanno creato degli smottamenti all’interno delle famiglie politiche. È l’annuncio di una ricomposizione di cui mi rallegro.”


(continua)