venerdì 10 ottobre 2014

Società sinceramente civile

Teoricamente (fisicamente di certo) viviamo tutti assieme in una società, grande o piccola che sia, questo presuppone che dovrebbe sussistere una convivenza. Il convivere, il fatto e la condizione di vivere insieme, in uno stesso luogo presuppone si il rispetto degli altri e delle regole che ci sono nella comunità, ma soprattutto significa porsi il problema di come le persone che vivono in una società possano convivere tra di loro senza ledere gli uni la libertà degli altri. Purtroppo non è storia recente che uno dei più grossi problemi sociali e civili è la difficoltà degli uomini di vivere assieme.

Di fatto sta che più o meno volontariamente la convivenza civile è necessaria e può essere fondata su elementi sostanzialmente positivi, perché i componenti della società in questione aderiscono volontariamente o per motivi ideali alla comunità, o su elementi di necessità, in tal caso si ha una convivenza forzata, basata sul rispetto di regole imposte, la cui osservanza garantisce comunque il regolare svolgimento della vita comunitaria.

Sostanzialmente la “civiltà” è scaturita da un lungo processo che ha portato da società basate sul potere del più forte a società regolate da norme condivise (la democrazia); un processo partito nel medio evo che potrà sempre migliorare.

La convivenza civile, negli stati moderni, è sempre tutelata da leggi, è cioè fondata su regole la cui osservanza è garantita e addirittura imposta dallo Stato. Ma la differenza sostanziale tra una società veramente democratica e una democrazia immatura sta nella condivisione da parte dei cittadini, convinta o meno, delle istituzioni che garantiscono la convivenza civile.

Ne provo esperienza sia nella società più ampia che in tanti percorsi politici che provo ad affrontare, l’uomo (per natura) è  persona del tutto diversa dalle altre, per esperienze, carattere, cultura: di fatto ogni persona ha le sue convinzioni etiche, sociali, filosofiche, politiche diverse da quelle di ogni altra persona. Di fatto, spesso e volentieri, molte persone vivono nella convinzione, del tutto legittima, di essere dalla parte della verità.

Per riuscire a mettere in sintesi numeri considerevoli di persone esistono sostanzialmente due sistemi, quello calato dall’alto, imposto, e quello del dialogo, della coesione, della concordanza. Il dialogo, l’unica amalgama sostenibile, consiste nel rapportarsi con gli altri tenendo sempre conto della diversità dell'altro e della necessità di comprendere il diverso punto di vista dell'altro.

Potremmo, lo facciamo, asserire che esiste una sola regola principe alla base di una società sinceramente civile, quella del dialogo; il resto delle regole ne sono la naturale conseguenza.

Malgrado però una evidente necessità di comprendere non si deve passare all’estremo rischiando il caos assoluto, necessita che il sistema sappia accogliere le istanze di tutti ma che preponderino quelle che siano più convenienti per la collettività.

Non essendo possibile valutare, a prescindere, la qualità delle opinioni, il giusto compromesso della democrazia è quello di fare prevalere l'opinione della maggioranza dei cittadini, ma anche (e soprattutto) di creare quanti più possibili centri di “potere” che si equilibrano e si controllano a vicenda.

Il valore del principio democratico di una società, si misura da questo principio, il rispetto delle leggi e della convivenza civile è spontaneo e lo stesso l'accettazione di sanzioni per comportamenti irregolari anche minimi. Anche il rispetto delle istituzioni e delle persone di opinioni diverse è massimo, pur nella convinzione di essere dalla parte della verità.

Una cosa così elementare da sembrare impossibile.

Giorgio Bargna










mercoledì 8 ottobre 2014

Il valore del territorio

Abbiamo scritto spesso su queste pagine di obbiettivi da raggiungere e di filosofie innovative da tracciare e seguire. L’abbiamo già scritto più volte, l’obbiettivo primario è ridurre al minimo la dipendenza dalle fonti fossili e realizzare la maggiore autosufficienza produttiva, opporsi alla realizzazione delle grandi opere e alla privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, il tutto emarginandosi dalla globalizzazione e rivalutando le economie locali. In questo contesto può, deve avvenire la coordinazione armonica tra i piccoli contadini, i commercianti al minuto, le piccole e medie aziende, gli artigiani e i professionisti radicati nel territorio in cui vivono ed i movimenti che sponsorizzano quanto sin qui illustrato per giungere alla materializzazione di una nuova economia.

Al contrario di quanti sperano in passaggi naturali che convoglino verso questa teoria, sono convinto che quanto decritto qui sopra avviene solamente grazie ad una spinta volontaria, deliberata da chi intende raggiungere le massime autonomie nelle produzioni alimentari ed  energetiche e nelle fabbricazioni necessarie a soddisfare i bisogni fondamentali: edilizia, abbigliamento, arredamento, utensileria, attività artigianali, riparazioni e manutenzioni.

E’ ovvio che la  riduzione, la scomparsa quasi totale della dipendenza dalle fonti fossili implica lo sviluppo dell’agricoltura biologica, l’accorciamento delle filiere e la riduzione delle intermediazioni commerciali tra produttori e acquirenti.

E’ ovvio si debba optare verso un “nuovo” stile di vita. Singoli cittadini, famiglie, amministrazioni (locali e non) piccole (o meno) cooperative, hanno un futuro avanti a se solo se intraprendono la strada virtuosa della autosufficienza energetica etica ed alimentare. Ho espresso spesso concetti di comunità; ecco occorrono comunità capaci di produrre energia rinnovabile sufficiente ai propri bisogni, produrre cibo per se stessi e non per il “mercato”, di realizzare autonomia idrica e magari di sostenersi su una moneta locale.

All’interno un’economia globalizzata le piccole e medie aziende recitano solo una parte terza, limitata alla produzione di semilavorati e componenti per le aziende che
operano sul mercato mondiale. Solamente liberandosi da questo giogo queste aziende possono valorizzare la ricchezza della loro professionalità, della loro creatività e della loro esperienza.

Quanto occorre per vivere decorosamente e nel giusto benessere può tranquillamente essere prodotto tramite piccole e medie aziende distribuite sul territorio.

Esiste anche il lato politico/amministrativo della questione. In parte si è già innescato un meccanismo di autodifesa durante questi ultimi anni, un netto radicamento della popolazione sul territorio anche a livello politico, persone, movimenti, comunità che rivendicano se non l’autodeterminazione quantomeno l’autogoverno. Potrebbe essere questo lo scenario futuro europeo: una serie di tanti Stati, piccoli sì, ma più radicati con i popoli e quindi sempre più espressione di una forte identità, da cui poter far ripartire il corso democratico interrotto con l’avvento della dittatura della finanza internazionale.

Si delinea su alcuni fronti una volontà popolare orientata verso una maggiore identificazione con la propria terra, in risposta alle mire di un sistema senza Stati teorizzato e portato avanti dagli architetti del nuovo ordine mondiale.
Anche se qualche globalizzatore nega questa possibilità esistono innegabili le radici "vere" della nostra identità, il legame con la madre terra.
La cultura, la storia, la lingua, identificano (legando l’uomo al territorio che calca o in cui è nato) ogni tentativo posto in essere a negare l’esistenza di tali elementi e chi nega questo scoprirà nel tempo una reazione crescente, del tutto opposta, da parte dell’individuo stesso.

Giorgio Bargna